Civili: «Qui è un inferno»
Leone Grotti
Secondo gli americani ci vorranno «anni» per sconfiggere lo Stato islamico. I curdi intanto si avvicinano a Mosul, dove gli abitanti sono disperati: «Meglio morire che vivere così»
Tutte le amministrazioni del mondo pubblicano dei bandi per appaltare opere pubbliche. Lo Stato islamico non è da meno, anche se le opere pubbliche di Mosul sono un po’ diverse da quelle delle altre città. Uno degli ultimi bandi recitava: «Un fossato di due metri di profondità e due di larghezza deve essere scavato attorno a Mosul».
RITORNO ALL’OTTAVO SECOLO. L’impresa edile che si aggiudica l’appalto verrà pagata quattromila dollari per ogni chilometro scavato. Quanto un fossato possa servire a difendere Mosul non è chiaro, di sicuro aiuterà lo Stato islamico a raggiungere il suo scopo: riportare la seconda città più importante dell’Iraq ai tempi del Califfato abbaside, cioè all’ottavo secolo.
«PERDERE LA CITTÀ SAREBBE LA FINE». Secondo quanto dichiarato a Reuters da un ex generale dell’esercito iracheno che vive a Mosul, i terroristi di Al-Baghdadi si stanno preparando a difendere la città da un attacco dei curdi e dell’esercito iracheno. Per questo hanno anche ostruito l’entrata occidentale della città costruendo un lungo muro di cemento. «Si batteranno fino all’ultima goccia del loro sangue per difendere Mosul. Perdere la città sarebbe la fine per loro».
L’AZIONE DEI PESHMERGA. La battaglia finale non sembra alle porte, se è vero quello che dicono i generali americani, e cioè che ci vorranno «anni» per sconfiggere lo Stato islamico. I curdi però si portano avanti. Mercoledì i Peshmerga hanno conquistato un tratto della strada che collega Mosul a Tal Afar e Sinjar, una via indispensabile anche per la comunicazione tra Mosul e i territori dell’Isis in Siria. Avendo ripreso, grazie ai bombardamenti americani, gran parte della provincia di Sinjar, ora i curdi hanno di fatto isolato la città di Mosul da tre lati.
«LA VITA È UN INFERNO». Sono tanti gli abitanti di Mosul che sperano che la città venga presto riconquistata e i terroristi cacciati. «L’unica cosa che posso dire è che la vita sotto l’Isis è un inferno, non il paradiso che vogliono far credere», spiega Tariq, che studiava in un istituto tecnico e che al contrario di altri non ha paura di rendere noto il suo vero nome al Guardian. «Ora non si può più studiare e non so che cosa il futuro abbia in serbo per noi».
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