"Il test della democrazia":
intervista a Mauro Magatti
di Ubaldo Casotto
«La libertà nel riconoscere l'altro». Su questo si misura la salute di un Paese. Il sociologo della Cattolica di Milano spiega perché il difficile rapporto con le istituzioni è un problema storico. E ha a che fare con la «questione cattolica»...
«Il riconoscimento dell’altro è un problema, non solo per la politica». Qualcosa in Parlamento si è mosso, si è arrivati con una fatica immane a (ri)eleggere un Presidente e a dare il via ad un nuovo governo, ma Mauro Magatti, preside di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, ha ben presente come la lettera a Repubblica nella quale don Julián Carrón invita i parlamentari italiani a vedere anche nell’avversario «una risorsa e non un ostacolo» non sia affatto superata, anzi. E accetta di parlarne con Tracce. L’intervista avviene per caso su un vagone della metropolitana milanese, immersi nelle voci di quel popolo di cui, dice il professore, non abbiamo sufficiente coscienza e conoscenza.
Carrón dice che lo stallo politico italiano è determinato dalla percezione dell’avversario come un nemico, come uno da abbattere, anziché qualcuno di cui in qualche modo ho bisogno perché è «parte della definizione di me». Lei è d’accordo con questo giudizio?
Sì, è così. Nel sistema politico italiano, per tante ragioni, tra cui l’intreccio giudiziario, si sono scavati solchi profondi. Questo riflette un problema più radicale: viviamo in una società fortemente individualistica, in cui l’altro ci va bene fin quando corrisponde ai nostri desideri, ma in cui l’atteggiamento di fondo è il suo mancato riconoscimento.
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