Translate

domingo, 15 de febrero de 2015

Un’analisi lucida e impietosa del governo nazista e della società tedesca.


L'eroe conservatore


di Nicoletta Tiliacos 

Diario di un disperato. Le memorie di un aristocratico antinazista

Il “Diario di un disperato” dell’aristocratico Reck-Malleczewen, ucciso a Dachau, racconta come nessuno la vittoria dei dèmoni in Germania, e la loro sconfitta
Se questo Folle fosse stato ucciso in tempo, Weimar avrebbe potuto sopravvivere e l’attuale guerra avrebbe potuto essere rimandata, o perfino evitata. Stando così le cose, gli uomini devono morire con gli occhi aperti, per compensare il cieco margine del caso”. Era il 1942, quando Arthur Koestler dava sull’Observer la sua interpretazione sull’ascesa al potere di Hitler, in un articolo intitolato “Il Grande Folle”. L’autore di “Buio a mezzogiorno” non poteva sapere che un uomo, in Germania, continuava anche in quel momento a rimproverarsi di non aver colto l’occasione, che pure gli si era presentata dieci anni prima, di uccidere colui che non era ancora il Führer, ma che ai suoi occhi già rappresentava la futura malattia mortale della Germania

Quell’uomo si chiamava Friedrich Reck-Malleczewen ed era un aristocratico nato nel 1884 nella Prussia orientale, in una famiglia di Junker protestanti. Diventato scrittore di libri per ragazzi e critico teatrale dopo aver completato gli studi di medicina, nel 1933 si sarebbe convertito al cattolicesimo. La sua inflessibile opposizione al nazismo – fu tra coloro che vissero e morirono a occhi aperti, quando sopravvivere significava spesso doverli chiudere o distorglierli – lo avrebbe portato all’arresto, nell’ottobre del 1944, e alla morte nel campo di prigionia di Dachau, dove fu giustiziato con un colpo alla nuca il 16 febbraio del 1945. Lasciò un diario che copre il periodo dal maggio 1936 all’ottobre del ’44: nascosto in una scatola di latta e seppellito nella proprietà bavarese di Reck, fu ritrovato dopo la fine della guerra, ma dovette passare un quarto di secolo perché fosse pubblicato. Si tratta di un documento impressionante, sia per la carica profetica (Reck riuscì a vedere la fine tragica della Germania nazista nel momento in cui essa sembrava invincibile, saldissima all’interno e temuta dal mondo) sia per l’assoluta originalità della prospettiva. Quel documento – che non si fa fatica, dopo averlo letto, a definire indispensabile, per capire meglio come sia stata possibile l’ascesa di Hitler – torna ora nelle librerie italiane per Castelvecchi, che lo ripropone nella traduzione di Matteo Chiarini pubblicata da Rusconi all’inizio degli anni Settanta e allora praticamente passata inosservata (pesava, come è noto, l’etichetta “di destra” di quell’editore). Si intitola, così come voleva il suo autore, “Diario di un disperato”, e nel 2013 ne è uscita una nuova edizione anche in America, nella collana Classics della New York Review of Books.

Ma ora lasciamo la parola a Reck e alla sua occasione mancata, perché ne vale la pena: “Fu in quell’autunno del 1932, carico di apprensioni, quando la febbre colpì l’intero paese. Ero a cena… all’Osteria Bavaria di Monaco, quando entrò, solo e senza le sue solite guardie del corpo. Colui che nel frattempo era diventato uno dei tedeschi più potenti sedeva lì, accanto al nostro tavolo! Si sentì osservato ed esaminato in modo critico da noi e divenne irrequieto. Il suo viso assunse subito l’espressione cupa di un piccolo impiegato entrato in un locale a lui solitamente inaccessibile, il quale, una volta seduto, pretende grazie al suo denaro ‘di essere servito e trattato bene come i raffinati signori che gli sono accanto’. Eravamo vicini al Gengis Khan vegetariano, l’Alessandro astemio, il Napoleone senza donne, la caricatura di Bismarck… Ero giunto in città con l’automobile e, poiché nel settembre del 1932 le strade non erano più così sicure, portavo con me una pistola carica. In quella sala semideserta avrei potuto ucciderlo senza alcuna difficoltà. Se allora avessi saputo quale ruolo avrebbe assunto quell’infame, e gli anni di sofferenza che ci ha fatto patire, lo avrei certamente fatto. Ma allora lo consideravo ancora un personaggio comico, e non sparai. Non sarebbe comunque servito a nulla, poiché la Provvidenza aveva già deciso il nostro martirio. Se anche qualcuno lo avesse incatenato ai binari, il treno sarebbe deragliato prima di raggiungerlo”.

A differenza di Koestler, Reck era convinto dell’ineluttabilità del baratro in cui era precipitato il suo paese, ma almeno dall’agosto del 1936 (data del brano prima riportato) era altrettanto convinto di due cose: il mondo stava andando verso la guerra mondiale e la guerra si sarebbe conclusa con la sconfitta di quella “colonia megalomane” che era diventata la Germania. Un anno dopo, nel settembre 1937, Reck si rivolge idealmente agli amici già riparati all’estero: “Dopo essere stati circondati da tutti gli agi della civiltà, comprenderete che la solitudine mortale della nostra vita e l’atmosfera di catacomba satura di sofferenza che respiriamo da tanto tempo hanno reso i nostri occhi chiaroveggenti, capaci di vedere nel futuro immagini che inizialmente potrebbero spaventarvi? Che ne è dell’ideologia del 1789, che vi circonda e resta il fondamento della vostra vita e del vostro pensiero, costituendo per voi qualcosa di ovvio, come per il gambero la sua corazza protettiva? Ma noi sappiamo che la filosofia degli enciclopedisti, e ancor prima quel processo di privazione del divino iniziato con il Rinascimento, hanno prodotto bagni di sangue… Non fatemi il torto di considerare le mie intuizioni come fantasticherie di un homo temporis acti o, peggio, come allucinazioni di un uomo in preda alla febbre perché contaminato dalla peste che lo circonda! Ciò che subiamo oggi in questo paese non è forse l’ultima conseguenza del 1789?”.

Reck arriva, per vie di “chiaroveggenza” (o, se si preferisce, di capacità di lettura dei segni dei tempi), a conclusioni non lontane da quelle che altri, come per esempio lo storico francese François Furet, faranno proprie nell’analizzare i fondamenti di tutti i totalitarismi.

..................


Leggi tutto:www.ilfoglio.it

No hay comentarios:

Publicar un comentario