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domingo, 22 de febrero de 2015

“Just do what’s right”, gli aveva detto Jobs poco prima di andarsene.


Al mondo di Apple non serve un messia


di Mattia Ferraresi

Grigio e arcobaleno. Così Tim Cook ha vinto la guerra termonucleare di Jobs

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Il profitto come conseguenza o effetto collaterale di un orientamento morale era un grande cavallo di battaglia di Steve Jobs: “Se tieni sempre un occhio fisso sul profitto trascurerai il prodotto. Ma se ti concentri davvero sul prodotto, il profitto arriverà”. Una filosofia che si rintraccia in un business model di successo millenario, quello dei monaci benedettini, talmente rapiti e concentrati sull’unico, divino oggetto del desiderio che ogni attività economica del monastero ne viene spontaneamente illuminata, fiorendo quasi involontariamente anche dal punto di vista del profitto. Sono talmente assorti nel pensiero d’Altro che finiscono per incespicare nel successo economico. August Turak, manager americano folgorato sulle sette balze di Thomas Merton, di recente ha raccolto in un libro le sue osservazioni sui segreti del successo dei monaci trappisti. Per molti anni Turak ha fatto consulenze all’abbazia di Mepkin, in South Carolina, notando che la comune vocazione dei monaci si riversa in un surplus di “significato e autenticità” che riescono a trasmettere ai loro prodotti, che siano la birra o i funghi essiccati. Il business è flessibile, competitivo, capace di innovare e di reinventarsi perché nessun manager in saio è concentrato sul profitto, tutti pensano ai prodotti e alla loro analogia con il supremo Produttore, pensano con ineguagliata concentrazione al labora che non è il tributo da pagare per potersi ritirare nella dimensione orante ma parte necessaria del percorso di elevazione. Il profitto arriva così, per serendipity. Quello è il modello di successo a cui segretamente Apple s’ispira.

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