Le parole hanno un senso. Scola incontra la stampa
di Ruben Razzante
La bulimia informativa degli ultimi anni rischia di svalutare il significato di alcuni termini e di far perdere di vista il necessario legame tra le parole e le cose. Il fiume di parole dei media è fatto di “supertestimoni” sbandierati ai quattro venti e che spesso sono semplici passanti in cerca di notorietà. L’enfasi nelle cronache, che porta il giornalista a definire “giornate storiche” situazioni, eventi, fatti assolutamente di routine e che magari hanno cadenza quotidiana, alla lunga non paga. Le inchieste non si realizzano in mezzo pomeriggio ma richiedono approfondimento, valutazione, ponderazione, accurato vaglio delle fonti. Il tempo della meditazione è importante e spesso viene azzerato colpevolmente dall’ossessione dell’audience e dello share.
Questi solo alcuni degli spunti emersi dal Dialogo sul giornalismoche ieri hanno intrattenuto l’arcivescovo di Milano, Cardinale Angelo Scola, e il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, stimolati da Alessandra Sardoni, giornalista televisiva de La7 e presidente dell’Associazione della stampa parlamentare.
"Per un giornalista, riflettere sulla parola è un po’ come interrogarsi sull’aria: pare un tema scontato", ha esordito don Davide Milani, direttore dell’Ufficio comunicazioni diocesano che ogni anno organizza l’incontro tra l’arcivescovo di Milano e i giornalisti nella ricorrenza del loro patrono, san Francesco di Sales. L’incontro di ieri era stato in realtà programmato, come di consueto, alla fine di gennaio, in concomitanza con quella ricorrenza, ma l’elezione di Mattarella, sabato 31 gennaio, aveva costretto gli organizzatori a posticiparlo.
Sullo sfondo delle riflessioni di Scola e Calabresi lo scenario mediatico dei nostri tempi, contrassegnato dalla moltiplicazione dei canali di comunicazione e dalla conseguente necessità di riempirli, spesso con contenuti discutibili che rischiano di alterare il significato delle cose e di produrre frequenti distorsioni della realtà.
La Sardoni ha aperto il dibattito proprio ricordando che "l’aspetto negativo della comunicazione appare quando le parole utilizzate sono tante, ma svuotate del loro significato di corrispondenza alla realtà". Ciò accade ormai con sistematicità e si tratta di una dinamica provocata anche "dalla necessità continua di attirare l’attenzione: spesso il pubblico cambia canale se alla cronaca dei fatti non si affianca la drammaturgia della narrazione".
Il leitmotiv del messaggio del Cardinale Scola si è collegato proprio a queste considerazioni introduttive: "Le parole sono troppe quando non sono vere. Le sentiamo come eccessive se non arrivano alla realtà profonda e diventano involventi, talvolta fuorvianti. L’ha sottolineato anche Papa Francesco, incontrando i giornalisti diTv2000 a metà dicembre. Allora il Sommo Pontefice disse che il primo compito della stampa è risvegliare le parole. E per risvegliarle l’unica strada è renderle rivelative della realtà: la comunichino e non pretendano di crearla". Un’esigenza, ha aggiunto l’arcivescovo di Milano, cui è chiamata anche l’Europa: "Il nostro mondo geopoliticamente molto complesso, ora esposto a una possibilità di tragedia non più così lontana, e l’Europa smarrita, devono trovare un nesso forte tra parola e realtà. Devono chiamare le cose per nome, semplificare e non usare gli stessi termini per realtà radicalmente diverse".
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