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viernes, 23 de mayo de 2014

Europa 2014: l’urgenza più grande che abbiamo - Per questo vale la pena impegnarsi.

Europa 2014. 
È possibile un nuovo inizio?



Appunti dall’intervento di Julián Carrón all’incontro di presentazione del documento di CL. Milano, 9 aprile 2014 (PDF) -(796,83 KB)

1. CHE COSA È IN GIOCO?

L’Europa è nata intorno a poche grandi parole, come persona, lavoro, materia, progresso e libertà. 

Queste parole hanno raggiunto la loro piena e autentica profondità attraverso il cristianesimo, acquistando un valore che non avevano prima, e questo ha determinato un profondo processo di “umanizzazione” dell’Europa e della sua cultura. 

Basta pensare, per fare un esempio, al concetto di persona. 

«Duemila anni fa l’unico uomo che aveva tutti i diritti umani era il civis romanus. Ma ilcivis romanus da chi era stabilito? Il potere determinava il civis romanus. Uno dei più grandi giuristi romani, Gaio, distingueva tre tipi di utensili che il civis [romanus], cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva possedere: gli utensili che non si muovono e non parlano; gli utensili che si muovono e non parlano, cioè gli animali; e gli utensili che si muovono e parlano, gli schiavi» (cfr. Gaio, Institutionum Commentarii quattuor, II, 12-17; L. Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 2010, p. 123).

Ma oggi tutte queste parole sono diventate vuote oppure stanno perdendo sempre di più il loro spessore originale. Come mai?

In un lungo e complesso processo, da cui non sono esenti la mortificazione di alcune di queste parole - come libertà e progresso - ad opera della stessa cristianità che aveva contribuito a generarle, a un certo punto della parabola europea, prende piede il tentativo di rendere autonome quelle fondamentali acquisizioni dall’esperienza che ne aveva consentito la piena emergenza. 

Come scriveva anni fa l’allora cardinale Ratzinger in un intervento a Subiaco, a seguito di un lungo processo storico, «nell’epoca dell’Illuminismo [...] nella contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertezze delle varie filosofie e confessioni. Così si vollero assicurare le basi della convivenza e, più in generale, le basi dell’umanità. A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili» (J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto e la crisi delle culture, LEV-Cantagalli, Roma-Siena 2005, p. 61). 

Si sviluppò così il tentativo illuministico di affermare quelle «grandi convinzioni», la cui evidenza sembrava si potesse sostenere da sé, a prescindere dal cristianesimo vissuto. 

Qual è stato l’esito di questa “pretesa”? Le grandi convinzioni, su cui si è fondata la nostra convivenza per molti secoli, hanno resistito alla verifica della storia? La loro evidenza ha retto davanti alle vicissitudini storiche con i suoi imprevisti e le sue provocazioni? 

La risposta è davanti agli occhi di tutti. 

Continuava il cardinale Ratzinger: «La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita. Neppure lo sforzo, davvero grandioso, di Kant è stato in grado di creare la necessaria certezza condivisa. [...] Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo» (ibidem, pp. 61-62).

Come si documenta tale accantonamento? Basterebbe rendersi conto dell’effetto che questo processo ha avuto su due dei fattori a noi europei moderni più cari: la ragione e la libertà. 

«Questa cultura illuminista» - diceva ancora il cardinale Ratzinger - «sostanzialmente è definita dai diritti di libertà; essa parte dalla libertà come un valore fondamentale che misura tutto: la libertà della scelta religiosa, che include la neutralità religiosa dello Stato; la libertà di esprimere la propria opinione, a condizione che non metta in dubbio proprio questo canone; l’ordinamento democratico dello Stato, e cioè il controllo parlamentare sugli organismi statali [...], la tutela dei diritti dell’uomo e il divieto di discriminazione. Qui il canone è ancora in via di formazione, visto che ci sono anche diritti dell’uomo contrastanti, come per esempio nel caso del contrasto tra la voglia di libertà della donna e il diritto alla vita del nascituro. Il concetto di discriminazione viene sempre più allargato, e così il divieto di discriminazione può trasformarsi sempre di più in una limitazione della libertà di opinione e della libertà religiosa [...]. Il fatto che la Chiesa è convinta [per esempio] di non avere il diritto di dare l’ordinazione sacerdotale alle donne viene considerato, da alcuni, fin d’ora inconciliabile con lo spirito della Costituzione europea». 

Dunque, prosegue Ratzinger, indicando gli esiti ultimi della parabola, 
«una confusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà. [...] Il radicale distacco della filosofia illuminista dalle sue radici diventa, in ultima analisi, un fare a meno dell’uomo». Ora, «questa filosofia non esprime la compiuta ragione dell’uomo, ma soltanto una parte di essa, e per via di questa mutilazione della ragione non la si può considerare affatto razionale». Perciò «la vera contrapposizione che caratterizza il mondo di oggi non è quella tra diverse culture religiose, ma quella tra la radicale emancipazione dell’uomo da Dio, dalle radici della vita, da una parte, e le grandi culture religiose dall’altra» (ibidem, pp. 42-43, 51-53).

Ciò non significa assumere una posizione pregiudizialmente “anti-illuminista”: «L’Illuminismo» - scrive Ratzinger - «è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana» (ibidem, p. 58). 

In un memorabile discorso del 2005, Benedetto XVI richiama il «“sì” fondamentale all’età moderna» da esso pronunciato, senza d’altra parte sottovalutare le sue «interiori tensioni e anche le contraddizioni». Benedetto XVI sottolinea così il superamento di quella situazione di «scontro», in cui «apparentemente non c’era più nessun ambito aperto per una intesa positiva e fruttuosa», tra la fede e l’età moderna, proprio della Chiesa del XIX secolo (Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2005).

A questo punto possiamo capire meglio qual è il problema dell’Europa, la radice della sua crisi e che cosa è veramente in gioco. 

Lasciamo ancora la parola a Benedetto XVI: 

«Il problema dell’Europa di trovare la sua identità mi sembra consistere nel fatto che in Europa oggi abbiamo due anime:
- un’anima è una ragione astratta, anti-storica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a se stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità. La prima sentenza di Strasburgo sul Crocifisso era un esempio di questa ragione astratta che vuole emanciparsi da tutte le tradizioni, dalla storia stessa. Ma così non si può vivere. Per di più, anche la “ragione pura” è condizionata da una determinata situazione storica, e solo in questo senso può esistere.
- L’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana» (Benedetto XVI, Intervista “Campane d’Europa”, 15 ottobre 2012). 

Ora, a rischio oggi sono proprio l’uomo, la sua ragione, la sua libertà, anche la libertà di avere una ragione critica.

«Il pericolo più grave» - diceva anni fa don Giussani - «non è neanche la distruzione dei popoli, l’uccisione, l’assassinio, ma il tentativo da parte del potere di distruggere l’umano. E l’essenza dell’umano è la libertà, cioè il rapporto con l’infinito». Perciò la battaglia che deve essere combattuta dall’uomo che si sente uomo è «la battaglia tra la religiosità autentica e il potere» («La religiosità autentica e il potere», Tracce, febbraio 2005, p. 27).
È questa la natura della crisi, che non è prima di tutto economica. Riguarda i fondamenti. 

«Ciò che in riferimento alle fondamentali questioni antropologiche sia la cosa giusta e possa diventare diritto vigente, oggi non è affatto evidente di per sé. Alla questione come si possa riconoscere ciò che veramente è giusto e servire così la giustizia nella legislazione, non è mai stato facile trovare la risposta e oggi, nell’abbondanza delle nostre conoscenze e delle nostre capacità, tale questione è diventata ancora molto più difficile» (Benedetto XVI, Discorso al Bundestag di Berlino, 22 settembre 2011). 

Senza la consapevolezza che quello che è in gioco è l’evidenza di quei fondamenti, in mancanza dei quali non sarà possibile una convivenza stabile, noi ci distraiamo nel dibattito sulle conseguenze, dimenticando che queste hanno origine altrove, come abbiamo visto. Riguadagnare i fondamenti è l’urgenza più grande che abbiamo.

Rispondere a tale urgenza non vuol dire tornare a uno Stato confessionale o a un’Europa basata su leggi cristiane, quasi una sorta di riedizione del Sacro romano impero, come se questa fosse l’unica possibilità per difendere la persona, la sua libertà e la sua ragione. 

Ciò andrebbe contro la natura stessa del cristianesimo. 
«In quanto religione dei perseguitati, in quanto religione universale, [il cristianesimo] [...] ha negato allo Stato il diritto di considerare la religione come una parte dell’ordinamento statale, postulando così la libertà della fede. [...] Laddove il cristianesimo, contro la sua natura, era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato [...], è [stato] merito dell’Illuminismo aver riproposto [i] valori originali del cristianesimo [tutti gli uomini, senza distinzione, sono creature a immagine di Dio, hanno tutti la stessa dignità] e aver ridato alla ragione la sua propria voce» (L’Europa di Benedetto..., op. cit., pp. 57-58). 
Occorre dunque non ritornare a un momento già superato, ma intraprendere una strada in cui sia possibile un vero dialogo sui fondamenti.
In queste nuove condizioni, da dove ripartire?


2. IL CUORE DELL’UOMO NON SI ARRENDE ...


3. A TEMA È SEMPRE L’UOMO E IL SUO COMPIMENTO ...


4. APPROFONDIRE LA NATURA DEL SOGGETTO ...


5. L’ALTRO È UN BENE ...


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