La “nuova teologia” di suor Fernanda Barbiero
di Maurizio Grosso
Suor Fernanda Barbiero oltre ad essere stata di recente nominata dalla Congregazione dei Religiosi visitatrice delle Suore Francescane dell’Immacolata con poteri di commissaria è anche una maestra dorotea, laureata in teologia, docente presso la Pontificia Università Urbaniana.
A differenza di P. Volpi, commissario dei Frati, suor Fernanda ha un pensiero ben delineato, che vale la pena conoscere.Nell’ultimo editoriale firmato per la rivista dell’USMI “Consacrazione e servizio” (marzo-aprile 2014), Suor Fernanda dedica una sua meditazione al mistero della Risurrezione di Cristo, «nuovo inizio per l’uomo». Le donne che al mattino di Pasqua si recano al sepolcro fanno un’esperienza unica e sconvolgente: Colui che era morto ora è vivo. Con il Vivente bisogna lasciare anche la nostalgia del passato, le cose che con Lui sono morte. Scrive suor Barbiero: «Colui che cercano tra i morti è vivo! Il significato è chiaro: non ripiegatevi sul passato, non vivete di nostalgia; quel Gesù che avete amato è vivo; il rapporto con lui non è chiuso nel passato. Si tratta di credere e appoggiare su questa sicurezza di vita, di amore, di speranza con sincerità e semplicità».
Suor Fernanda però pare dimentichi, anche se così succintamente, che il Crocifisso è risorto non un altro Gesù. Il suo «passato», i segni della sua Passione e Morte dolorose, rimangono scolpiti per sempre nel suo corpo glorificato. Quella qui abbozzata da suor Fernanda è in realtà la via per rifiutare il valore sacrificale della S. Messa a favore di una Messa considerata solo convivio e comunione fraterna, mero servizio all’uomo.
Con la S. Messa c’è poi il rifiuto della vita religiosa come sacrificio e oblazione. Ma questo è un altro discorso e ci porterebbe altrove. Abbiamo invece uno spaccato del pensiero teologico applicato alla vita consacrata di suor Fernanda Barbiero in uno dei suoi articoli più riusciti e anche più interessanti per la profondità con cui unisce, senza necessariamente citarli, filosofi come Kant e Hegel, facendo esplicito riferimento a maestri come B. Secondin, Meister Eckart e il priore (non monaco) di Bose, Enzo Bianchi.
L’articolo dal titolo profetico: La vita religiosa abita ancora la storia? è apparso in due parti sulla stessa rivista dell’USMI, nel settembre e nell’ottobre 2005 (la seconda parte è molto più interessante e di questa ci occuperemo). Bisogna liberarsi delle immagini di Dio. Dio non abita le immagini, ma la quotidianità, cioè la storia, la quale, al dire della teologa, è come un tempio: «…dobbiamo interrogarci e riconciliarci con la storia come qualcosa di realmente importante, come unico tempio dove Dio ha preso volto e casa». Abitare la storia significa liberarsi della filosofia dell’essere, che è essenzialmente metafisica e ci spinge in un oltre indecifrato, oltre il visibile, per concentrarci invece nell’al di qua, trasformando la fede in un’etica. Scrive suor Barbiero: «Noi religiose siamo state formate a un tipo di fede e di spiritualità che ci trattiene nella ragione.È una spiritualità congelata nella filosofia dell’essere, non più attuale per l’urgenza di costruire un’etica. Ed etica vuol dire relazione di vita, non ragione. (…) Noi dovremmo semplificare la religiosità e renderla più vicina ai bisogni reali dei poveri. C’è troppo “invisibile”, troppo arcano. La direzione della vita religiosa pare dimostrare che la santità ha il suo epicentro nell’al di là, nell’invisibile, o in una carità molto più vicina all’elemosina che alla responsabilità e all’impegno per un mondo più giusto. «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia», ha detto Gesù. Dove?».
Nella storia appunto. Nell’al di qua. Ma ciò che più sorprende è la base kantiana del suo discorso. La stessa critica di Kant, superficiale e unilaterale, viene mossa da suor Barbiero alla fede e quindi alla vita religiosa: dal momento che la ragione non può più conoscere le cose come tali e l’intelligenza non è più capace di Dio, della verità, Dio può essere al massimo il custode di una moralità, del dovere giustificato per se stesso.
Smettere la ragione per ripiegarsi sull’etica. Che significherà: vivere la testimonianza religiosa non come contemplazione di Dio quale fine della vita religiosa, ma come servizio all’uomo, come impegno per un mondo più giusto. Questa è la vera “teologia di liberazione” di suor Fernanda, non una mera e ormai superata teologia della liberazione, ma liberazione dalla stessa teo-logia a favore di un rinnovato impegno sociale. Devi perché devi servire l’uomo. È necessaria la relazione esistenziale non l’essere. Per suor Barbiero è ora di «amare al di là dell’erotismo egoista. Questo non si raggiunge nella solitudine, ma nella relazione concreta».
La fede, al dire della nostra teologa, non è un concetto (critica pre- e soprattutto conciliare di alcuni influenti teologi del calibro di Congar, Schillebeeckx e Chenu), ma è vita, è testimonianza. Basata perciò su cosa, se non più principiante dai dogmi (concetti definiti) della fede? Sulla prassi ispirata al Vangelo, incarnato secondo modelli molteplici e capaci di sorprendere, purché squisitamente esistenziali. Non passando a fianco del mondo secolarizzato, ma incarnando la vita religiosa nel mondo secolarizzato.
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