Scuole come campi di rieducazione al gender
di Massimo Introvigne
Nei giorni scorsi per prima «La nuova Bussola quotidiana» e a seguire buona parte della stampa nazionale hanno dato conto di che cosa è vietato nelle scuole torinesi: promuovere incontri per i genitori, anche privati, sui temi dell’ideologia di genere e dell’omofobia, cui un istituto cattolico, il Faà di Bruno, ha dovuto rinunciare dopo aggressioni e minacce della lobby gay. Non è meno istruttivo vedere che cosa è permesso, anzi è obbligatorio.
Il 24 ottobre 2013 è stata pubblicata sul sito www.direfarenondiscriminare.com, gestito dalla Compagnia 3001, la cronacadi uno dei tanti simpatici eventi allestiti da questa organizzazione nelle scuole piemontesi, questa volta per gli alunni della II B della Scuola Media Antonio Gramsci, Plesso Gobetti di Settimo Torinese, cintura di Torino. Seconda media: cioè, dodicenni. Certo, uno potrebbe pensare che tra Gramsci e Gobetti sia difficile immaginare qualche cosa che assomigli vagamente a un’educazione rispettosa offerta agli alunni cattolici. Ma qui si va molto oltre.
Il sito ci informa – e ci documenta – che «la classe ha voluto allestire una riflessione teatrale come restituzione al tema trattato nel primo incontro relativo alla discriminazione in base all’orientamento sessuale». Le chiamano proprio così: «restituzioni».
Vediamo dunque che cosa «restituiscono» i bambini dopo avere ascoltato una lezione di indottrinamento sul gender. Una bambina attacca: «Amava indossare i pantaloni rosa… era un ragazzo di 15 anni… si è suicidato». Gli altri dodicenni elencano varie discriminazioni, fino a che due bambini esclamano: «Mi chiamano frocio» - «Mi dicono che sono lesbica». E tutti i dodicenni gridano insieme: «basta».
Scena seconda: il Parlamento della Repubblica Italiana. Un bambino interpreta il parlamentare che propone: «Dichiaro aperta la seduta. “In base all’articolo 3 della nostra Costituzione io propongo di riconoscere giuridicamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso”. Seguiamo l’esempio dei nostri vicini europei (Francia, Spagna, Regno Unito)…». Applausi. Un’altra piccola parlamentare interviene a favore: «Sono d’accordo! Dobbiamo combattere ogni forma di discriminazione… Tutti devono sentirsi tutelati dalla nostra Costituzione, nessuno può venire escluso perché sceglie di amare una persona del suo stesso sesso». E c’è anche la bambina che fa la parte della parlamentare cattiva: «Io, invece, non sono d’accordo! L’unico matrimonio possibile è quello eterosessuale e l’unica famiglia degna di tale nome è formata da mamma e papà, non da papà e papà o mamma e mamma… e poi cari colleghi pensiamo alle cose serie… l’economia per esempio. Stiamo solo perdendo tempo…».
Un’altra parlamentare buona: «Non è accettabile che, in un paese che si dichiara moderno, le coppie gay non vedano riconosciuti pienamente i loro diritti… il loro amore è forse di serie B? Chi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa non lo è ?». Per fortuna ci è risparmiata la consueta citazione manipolatrice di Papa Francesco, ma forse è implicita. Segue un parlamentare maschio cattivo, sempre interpretato da uno dei dodicenni: «E già, magari, ora approviamo anche una legge che permetta ai gay di adottare dei figli… È un’unione contro natura… ma cosa state dicendo?!! Non sono d’accordo!».
Alla fine si vota. I parlamentari contrari si chiamano – che bei nomi – Paura, Disprezzo, Pregiudizio, Disparità, Diversità ed Esclusione. Ma perdono: almeno in una scuola media è giusto fare interpretare dai ragazzini spettacoli dove vincono i buoni. Interviene il Presidente della Repubblica – beninteso, una bambina – la quale proclama: «Sono orgogliosa di essere il Presidente di un Paese come l’Italia che ha dimostrato di essere uno Stato civile, rispettoso e garante dei diritti di tutti, senza nessuna distinzione. Oggi l’Italia ha mantenuto una promessa: quella dell’eguaglianza… Dichiaro valida la legge che riconosce giuridicamente le unioni civili tra le persone dello stesso sesso!».
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Legge tutto: www.lanuovabq.it
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