DOSTOEVSKIJ/ Kasatkina: vi spiego il "paradosso" di Cristo e della verità
Tat’jana Kasatkina, direttore
del Dipartimento di teoria della letteratura dell’Accademia delle
Scienze di Mosca, è al Meeting di Rimini e raccoglie con soddisfazione i
frutti di tre anni di lavoro. Ha messo insieme una sessantina di
giovani studenti, italiani e russi, e li ha fatti lavorare su
un’interpetazione che cambia la lettura di Dostoevskij. Senza le
immagini dell’arte occidentale, che il grande russo amava al pari delle
icone della tradizione religiosa del suo popolo, non ci sarebbero I Fratelli Karamazov.
«È da tanto tempo che desideravo fare qualcosa del genere, perché avevo
il desiderio di mostrare come le immagini siano alla base di tutta
l’opera di Dostoevskij. Al tempo stesso mi sembrava una cosa
irrealizzabile. Ma Dio aveva i suoi piani…».
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Porfirij dice a a Raskol’nikov, in Delitto e castigo:
«ogni azione, per esempio ogni delitto, appena accade nella realtà,
subito diventa un caso del tutto particolare; e, talvolta, un caso privo
di ogni analogia con qualsiasi altro precedente». In Dostoevskij ogni
umana vicenda si gioca dentro il caso singolo. Che cosa significa questo per la nostra libertà?
Purtroppo noi ci ricordiamo troppo raramente che ogni uomo è un caso particolare. Tutta la vita europea dell’ultimo secolo è costruita sul fatto che l’uomo è tale in riferimento all’umanità o a una generalità etnica, culturale o politica. Su questa base, si è cercato di fare delle leggi che potessero funzionare per tutti. Ma questo tentativo indebito di semplificare la vita è sbagliato, perché non si può giudicare nessuno senza entrare nel concreto della sua storia. Invece i romanzi di Dostoevskij sono pieni di casi di errori giudiziari che mostrano lo scacco in cui incorre il giudizio generale quando pretende di spiegare il caso concreto.
Purtroppo noi ci ricordiamo troppo raramente che ogni uomo è un caso particolare. Tutta la vita europea dell’ultimo secolo è costruita sul fatto che l’uomo è tale in riferimento all’umanità o a una generalità etnica, culturale o politica. Su questa base, si è cercato di fare delle leggi che potessero funzionare per tutti. Ma questo tentativo indebito di semplificare la vita è sbagliato, perché non si può giudicare nessuno senza entrare nel concreto della sua storia. Invece i romanzi di Dostoevskij sono pieni di casi di errori giudiziari che mostrano lo scacco in cui incorre il giudizio generale quando pretende di spiegare il caso concreto.
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DOSTOEVSKIJ/ Che cosa rende la vita meglio del niente?
A
Fëdor Dostoevskij dobbiamo, in primo luogo, nient’altro che una
testimonianza di gratitudine e sconfinata ammirazione, poiché con i suoi
romanzi e i suoi racconti, le sue lettere drammatiche e commosse e le
sue febbrili note di diario, quest’uomo ci consegna ogni giorno tutti
gli stimoli e gli strumenti per essere altezza del nostro destino. Per
non essere meschini, tiepidi, paurosi di fronte all’incalzare della
realtà e della vita.
Come quelle scientifiche, anche le
rivoluzioni letterarie modellano l’immagine che l’umanità si forma di sé
medesima e del mondo. E solo per pavidità o timidezza, a fronte di
quella copernicana o newtoniana, non collochiamo la rivoluzione
dostoevskijana: ma la sostanza non muta. Coi suoi libri, con le sue
migliaia di pagine, Dostoevskij ha mutato per sempre il corso dei nostri
pensieri sulla nostra stessa natura.
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Dostoevskij
con lucidità impressionante definisce il cuore dell’uomo (e dunque la
vita stessa) un campo di battaglia, un luogo di tensione inesorabile.
Definisce ogni istante dell’esistenza il momento di un’opzione decisiva.
Si tratta della nostra libertà: questo è il privilegio che rende la
vita “bella” anche se difficile (o forse proprio perché tale). Vita che,
ammette Dostoevskij, compie autenticamente se stessa, risponde davvero
al proprio bisogno, quando di fronte alla gioia, alla bellezza,
all’amore, si inginocchia e dice sì.
Questo è ciò che rende la vita meglio
del niente, non le idee nobili o le cose utili: ma ciò per cui al cuore
viene spontaneo ringraziare. Il sorriso affascinante e puro, né maligno
né sciocco, di un uomo che sia rimasto nel cuore bambino; la bellezza
infinita che ci circonda, quella del sole che nasce e dell’erba che
cresce; l’amore vigile, umile, attivo, che si trasforma in pietà per
ogni indifeso.
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DOSTOEVSKIJ/ Zagrebelsky: vi spiego il "patto" tra Cristo e il Grande inquisitore
Ungrande racconto sulla libertà e
la seduzione del potere. Era dedicato alla «Leggenda del grande
inquisitore» - il racconto di Ivan ne I Fratelli Karamazov di
Fedor Dostoevskij - l’incontro pubblico che si è tenuto sabato scorso
presso il Centro Culturale di Firenze, con due ospiti d’eccezione:
Tat’jana Kasatkina, filologa, direttore del Dipartimento di Teoria della
letteratura presso l'Accademia Russa delle Scienze, e Gustavo
Zagrebelsky, giurista, presidente emerito della Corte costituzionale.
«Lavoro sulla Leggenda da ormai una decina d’anni» dice il professore a IlSussidiario.net «perché i suoi temi hanno anche risvolti prettamente costituzionali». Ecco la sua lettura del «grande enigma».
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