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sábado, 10 de enero de 2015

Charlie Hebdo: immaginate un mondo senza religioni, oh come sarebbe pacifico.



Charlie Hebdo. No, caro Umberto Eco, il problema non è cancellare tutte le fedi, ma se la nostra fede è più forte della loro



... non si tratta di puntare il dito contro il dio degli assassini, o di esecrare il loro distorto senso religioso o di evocare lo sradicamento delle religioni dalla vita dell’uomo. La prima risposta alla provocazione rappresentata dalla violenza omicida in nome di dio compiuta da persone che sono pronte sia a uccidere che a morire come martiri in nome di quel dio, è prendere coscienza di quale sia il nostro dio, quello che determina la nostra vita, e di interrogarci intorno ad esso.

La reazione dell’europeo occidentale medio di fronte al massacro della redazione di Charlie Hebdo è quella che il pensiero dominante detta da cinquant’anni a questa parte. Ieri sera aMatrix su Canale 5 Oliviero Toscani l’ha espressa nella forma pop che John Lennon aveva cantato nel 1971 sulle note suadenti di Imagine: «La storia del mondo è piena di massacri e di omicidi ispirati dalla fede religiosa. I musulmani non hanno l’esclusiva. I Crociati uccidevano per la fede, in Norvegia un esaltato di nome Breivik ha ucciso 77 persone per restaurare la cristianità in Europa. I nazisti portavano scritto sulla divisa “Gott mit uns”. Se non ci fossero più le religioni, ci sarebbero molti massacri di meno».

Immaginate un mondo senza religioni, oh come sarebbe pacifico. La versione intellettualmente colta della stessa convinzione l’ha espressa stamattina sul Corriere della SeraUmberto Eco, intervistato dal giornale milanese: «Gli uomini si sono sempre massacrati per un libro: la Bibbia contro il Corano, il Vangelo contro la Bibbia eccetera. Le grandi guerre sono state scatenate dalle religioni monoteiste per un libro. Sono le religioni del libro a provocare le guerre per imporre l’idea contenuta nei loro testi».

La persona che negli ultimi cinquant’anni più intelligentemente ha obiettato a questa interpretazione relativista e tardo-illuminista della religione è un prete italiano: don Luigi Giussani. Proprio in questi giorni gli aderenti al movimento ecclesiale da lui fondato, Comunione e Liberazione, hanno iniziato un nuovo ciclo di catechesi (detto Scuola di Comunità) prendendo a riferimento un libro, Perché la Chiesa, che nel capitolo introduttivo mette il dito sull’errore concettuale, metafisico e antropologico dei promotori dell’abolizione delle religioni per il bene della pace. L’errore sta nel mancato riconoscimento del fatto che ciascuno di noi, anche l’ateo o colui che si disinteressa della religione per sciatteria o per decisione consapevole, in realtà un dio ce l’ha e fa tutti i giorni un’esperienza religiosa. L’uomo non può vivere, e di fatto non vive, senza un significato ultimo al quale dedica, o almeno tende a dedicare, la sua vita.

Scrive Giussani: «Durante una conversazione in cui ebbi occasione di essere coinvolto, un importante professore universitario si lasciò sfuggire questa frase: “Se non avessi la chimica mi ammazzerei!”. Un gioco del genere, nella nostra dinamica interiore, anche quando non dichiarata, esiste sempre. Qualcosa c’è sempre che rende la vita degna ai nostri occhi di essere vissuta e senza la quale, anche se non si arrivasse ad augurarsi la morte, tutto sarebbe incolore e deludente. A quella “cosa”, qualunque essa sia, senza alcun bisogno che sia teorizzata o espressa in sistema mentale – può essere infatti implicata in una banalissima pratica di vita – l’uomo offre tutta la sua devozione. Nessuno può evitare una finale implicazione: qualunque essa sia, nel momento in cui la coscienza umana vi corrisponde vivendo, è una religiosità che si esprime, è un livello di religiosità che si realizza».

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Naturalmente difendere il diritto di Charlie Hebdo alla blasfemia – perché le cose vanno chiamate col loro nome, ed è di questo che stiamo parlando – in quanto non farlo rappresenterebbe in questo momento un atto di sottomissione ai jihadisti, non significa approvare la linea editoriale di quel giornale e la filosofia che lo ispira. I redattori del settimanale sono, come tutti noi occidentali, corresponsabili dell’accaduto non perché hanno offeso dio o ferito i sentimenti dei musulmani. Dio non ha bisogno degli uomini per difendersi dalle offese, se così fosse non sarebbe Dio, e chi si sente offeso ha a disposizione molti modi di reagire all’offesa diversi dallo sterminio degli offensori. La blasfemia e la dissacrazione alimentano la violenza nella società non perché eccitano reazioni violente da parte dei credenti, ma perché se non c’è più niente di sacro, se tutto può essere dissacrato, anche la vita umana perde sacralità. Dissacrare Dio significa automaticamente dissacrare tutto ciò che da Dio proviene. Significa dissacrare le creature, dunque anche l’uomo. Se niente più è sacro, non lo è nemmeno la vita umana. Sia il jihadista che il rapinatore, sia l’antagonista del sistema che il tossicodipendente in cerca di soldi si sentiranno legittimati a violare quella vita umana che non è più sacra, in conseguenza della dissacrazione del Creatore.

Con ciò non si intende dire che i redattori di Charlie Hebdo avessero tutti perso il senso del sacro. Poco tempo prima del massacro il direttore Stephane Charbonnier aveva affermato inun’intervista filmata: «Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio». Uno che dice così il senso del sacro ce l’ha. È consapevole che c’è qualcosa di grande per cui vale la pena vivere e vale la pena morire. Qualcosa che è più importante della vita del singolo perché è ciò che dà senso alla vita del singolo.

John Lennon cantava che sarebbe bello vivere in un mondo dove non c’è più nulla per cui uccidere o essere uccisi. Ma la verità è che se non c’è più nulla per cui vale la pena morire, non c’è nemmeno più nulla per cui vale la pena vivere. Finché c’è qualcuno in Occidente che testimonia che ciò per cui si vive è anche ciò per cui si è pronti a morire, la guerra non è persa e la sottomissione non è inevitabile.


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