Per combattere la corruzione non ci vogliono più leggi e più authority, ma meno
Non volete più scandali e mazzette? Non serve la ghigliottina grillina o nuovi controllori, ma regole più semplici e efficaci. La corruzione si annida nei mille passaggi burocratici
Il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio, commentando i recenti arresti sulla vicenda del Mose, ha detto una frase interessante:
«Parlamento e governo riducano le leggi, le semplifichino e le rendano più chiare e trasparenti in modo che chi partecipata ad una gara pubblica sappia a chi deve rivolgersi, quali sono le autorità responsabili, autorità che devono essere poche perché se si deve bussare a 100 porte è certo che almeno una di queste rimane chiusa finché non arriva qualcuno che dice che va unta attraverso mazzette. Vanno semplificate le procedure, rese più snelle e trasparenti».Nordio, che è un magistrato serio ed equilibrato (non certo uno di quelli che usano gli arresti per fare carriera o per farsi invitare negli show tv), ha anche dato un «suggerimento al presidente del consiglio»:
«Gli direi di lasciar stare le pene, le leggi penali, i nuovi reati, ci sono già, le pene sono già stratosferiche. Al primo ministro direi non fate nuove leggi penali, paradossalmente diminuite le pene ma rendetele più efficaci e concrete, e soprattutto prevenite il reato semplificando le procedure, individuando le competenze e attribuendo i controlli preventivi a poche persone. Non è mai servito a niente inasprire le pene».
600 ARTICOLI DA RISPETTARE.
Il proseguimento dell’inchiesta dirà se le ipotesi di reato formulate dalla magistratura sono reali. Ma vale la pena soffermarsi sulle frasi di Nordio, anche per evitare nell’immediato le reazioni di pancia grilline («ci vuole la ghigliottina») o quelle, un po’ generali, invocate sulla necessità di «maggiori controlli» o «nuove leggi». È vero il contrario, dice nella sostanza Nordio. Le leggi ci sono, il problema è eliminare i mille passaggi burocratici. È lì che si infila la corruzione.
Lo spiegano bene due diversi articoli apparsi oggi su Libero e il Giornale. Sul primo, a firma di Davide De Luca, si fa notare che
«per vincere un appalto pubblico in Italia non basta saper fare bene il proprio lavoro. Vincere un appalto è di per sé un lavoro che costa ore passate a compilare moduli, scartoffie e a studiare la normativa».
Innanzitutto va tenuto conto del
«Codice dei contratti pubblici, a volte chiamato Codice degli appalti, che è composto da 273 articoli, 38 allegati e che è diviso in 1500 commi. A questo si aggiunge il regolamento di attuazione del Codice degli appalti, che aggiunge altri 350 articoli. In tutto, gli articoli da rispettare sono 600».
Da notare, poi,
«che da quando è entrato in vigore dal 2006, il codice è stato modificato 564 volte e i suoi articoli sono stati oggetto di sentenze e pareri amministrativi seimila volte».
Il fatto poi che questi articoli rimandino ad altri articoli non fa altro che rendere ancora più complessa la vicenda.
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