Auguri di inizio anno per una scuola (veramente) buona
di Giovanni Fighera
Sant’Ignazio di Antiochia scriveva: «Si educa con quel che si dice, si educa meglio con quel che si fa, e si educa ancor meglio con quel che si è».
Mentre tutti i riflettori sono puntati sull’attuazione della Buona scuola di Renzi che si concretizza al momento soprattutto con il piano delle assunzioni in ruolo e i nuovi poteri del preside, vorrei sottoporre qualche riflessione all’attenzione di tutti quanti avranno a che fare con la scuola, in qualità di insegnanti, direttori, studenti o genitori. Mi auguro che possano essere un utile spunto per aprire un dibattito sulla scuola anche dal punto di vista culturale, educativo e umano.
OCCORRE UN LUOGO DOVE PORRE LE DOMANDE
Il ragazzo deve poter fare esperienza che la scuola è bella e che è una grande opportunità per sé, per crescere, per conoscersi, per scoprire la realtà e per scoprire se stessi e i propri talenti. Conoscere è un’esigenza naturale dell’uomo. Nel contempo, la possibilità che hanno i giovani di oggi di proseguire gli studi è una grazia, un dono, che i ragazzi non sentono più come tale. Percepiscono spesso questa opportunità come un peso, una fatica, un sacrificio da cui evadere prima possibile, magari nello sballo dei week end. Immaginiamoci come sarebbe diversa l’avventura scolastica se gli insegnanti si richiamassero a vivere ogni ora di lezione come se fosse la prima, con lo stesso entusiasmo e la stessa carica piena di gioventù e gli studenti percepissero il dono dell’apprendimento come se avessero ottenuto la conquista di andare a scuola per la prima volta.
Lo studente deve scoprire che studiare è interessante. Circondati da una cultura utilitaristica, in cui conta solo l’interesse economico, materialistica, relativista (non esiste l’amore vero, non c’è una verità, non esiste la bellezza, …), edonistica (conta solo vivere e ricercare l’emozione forte come insegna il film Notte prima degli esami), il ragazzo deve poter porre la domanda: «A che serve studiare? Perché dovrei fare fatica?». Sono domande lecite e ci deve essere un luogo (in famiglia, a scuola, …) dove queste possano essere prese sul serio e trovare una risposta.
Per questo ogni anno, il primo giorno di scuola, io auguro che il cammino comune dell’insegnante e del ragazzo possa essere una vera esperienza. E un’esperienza non si misura solo dall’esito, dalle delusioni, dai risultati, ma soprattutto dal fatto che quanto si vive divenga occasione per essere più uomini e più umani, per capire un po’ meglio la propria persona e che cosa abbia a che fare quanto viviamo con il nostro desiderio di felicità.
I GIOVANI NON SONO CAMBIATI NEL CUORE
Non credo che si tratti di scoprire nuovi strumenti per affascinare i ragazzi e per colpire il loro cuore. I giovani di oggi sono uguali a noi venti o trent’anni fa. Non concordo con quanti si lamentano di come siano cambiati gli studenti. Forse, chi parla così non si sente più giovane e dialoga poco con i giovani. Il dialogo aperto durante le ore di lezione e nel tempo libero testimonia che il cuore dei ragazzi non è cambiato, ma è fatto per scoprire la verità, per trovare un amore vero che gli corrisponda, è affascinato dalla bellezza, vuole scoprire quale sia il proprio compito nella realtà e nella società, … Chiediamoci: la scuola di oggi si propone come un luogo dove queste esigenze dei ragazzi siano prese sul serio o, al contrario, ostenta relativismo, multiculturalismo, … che non possono rispondere alle profonde domande dei giovani.
IL RISVEGLIO DELL’UMANO
Se dovessi, in sintesi, esplicitare un metodo, direi questo. In primo luogo, ci deve essere l’insegnante. Sant’Ignazio di Antiochia scriveva: «Si educa con quel che si dice, si educa meglio con quel che si fa, e si educa ancor meglio con quel che si è». Il docente sarà anche maestro se saprà indicare un cammino verso la verità, verso la bellezza, verso il bene e, nel contempo, se si farà compagno di viaggio dei suoi studenti nei loro anni di scuola.
Nel contempo, il maestro dovrà suscitare il desiderio del mare aperto, della scoperta della realtà. L’insegnante è innamorato (o almeno così dovrebbe essere) della disciplina che insegna. Se trasmetterà l’amore che prova e mostrerà la bellezza che ha incontrato nello studio, senz’altro avrà un’alta probabilità di muovere il cuore dei ragazzi. Forse, all’inizio gli studenti non capiranno tutto, ma nascerà in loro la domanda: come mai l’insegnante è così appassionato di quanto spiega?
Un ultimo fattore che vorrei sottolineare è l’importanza dell’affettività nella vita di ogniuno. Il rapporto tra insegnante e allievo non può essere asettico, si deve creare un legame affettivo che è strumento fondamentale per una comunicazione efficace.
L’errore che si commette oggi è quello di pensare che ogni due lustri debba mutare il metodo di insegnamento ovvero la strada che l’insegnante utilizza perché l’alunno possa essere catturato dalla disciplina e possa apprendere. Siamo davvero convinti che la pedagogia muti con il mutare delle circostanze storiche con tempi così rapidi? Attenzione, non intendo certo negare l’utilità di strumenti informatici, di new media o di tutti quegli strumenti che la tecnica offre, in sempre maggiore abbondanza. Ma oggi, l’uso del tablet, del digitale, della strumentazione informatica vengono proposti come panacea alla situazione di disamore allo studio e alla crisi sempre più ampia che pervade il mondo dei giovani. In questi anni si sta realizzando la scuola delle competenze e del digitale.
Fa comodo attendersi dalla tecnologia quel risveglio che in primo luogo spetta a noi. Si tratta del risveglio dell’io e dell’umano che nel tempo rimangono immutati. Anche i fondamenti del rapporto educativo tra maestro e discepolo rimangono gli stessi. Ogni docente si porrà di fronte alla classe con la sua personalità, le sue qualità, tutto il suo essere. Andrà salvaguardata la libertà dell’insegnamento che non significa totale arbitrarietà. Vanno coniugate professionalità e umanità. Entrambi i fattori si devono compendiare, l’uno non ha efficacia piena senza l’altro. L’insegnante dovrà essere in grado di mantenere la disciplina, che non è il fine dell’educazione, ma requisito fondamentale e imprescindibile, punto di partenza perché possa instaurarsi un rapporto educativo. La disciplina non è una formalità, ma è una forma sostanziale, è il riconoscimento che vi è di fronte ai ragazzi una presenza autorevole che può comunicare qualcosa di importante. Il silenzio è, quindi, il riconoscimento che si è in una posizione di ricezione e di ascolto, non passivo. La mancanza di disciplina è uno dei problemi fondamentali nelle scuole di oggi.
CHE COS’È LA BUONA SCUOLA?
Una buona scuola è costituita da buoni insegnanti, che siano cioè appassionati di quello che fanno, lo amino, trasmettano il gusto per il bello e per il bene. Il problema vero è rilanciare con forza la questione educativa sollecitando la domanda su chi sia davvero l’uomo e su cosa significhi, quindi, farlo crescere.
Palesi sono i punti di debolezza del sistema scolastico attuale. Non voglio, senz’altro, che si cada nell’equivoco che la questione sia sanare le lacune dell’attuale sistema. In ogni caso, mi soffermerò su alcuni spunti di riflessione. In primo luogo manca uno spazio di riflessione in cui il ragazzo possa scoprirsi, capirsi e riflettere sulla vita e su quanto gli accade. Nelle mie classi (al triennio) io ho introdotto il diario/ zibaldone su cui gli studenti lavorano due volte a settimana: è lo spazio della scoperta di sé e della realtà. Diventa, però, anche il momento in cui si impara a scrivere. Ecco un grave limite del sistema scolastico italiano: gli studenti si cimentano nella scrittura (creativa e non) solo nei momenti di verifica. Conseguenze sono le gravi lacune espressive per risolvere le quali da quindici anni il Ministero ha pensato di sostituire il tradizionale tema con prove quali l’analisi di testo, l’articolo di giornale, … Non può essere una risoluzione non affrontare i problemi e modificare le prove conclusive in modo da modificare il percorso.
Un altro problema importante è lo smantellamento delle materie culturali umanistiche in nome di una scuola di avanguardia, tecnologica e informatizzata. Vi sembra possibile che in un Liceo siano dedicate al biennio in totale tre ore per affrontare la Storia, la Geografia e la Cittadinanza e Costituzione. Anche le ore di studio del Latino sono diminuite così come, per quanto sento, al triennio in sempre più scuole la lingua latina è ridotta alla letteratura. I bambini non aprono più la categoria storica nella scuola primaria come accadeva fino ad alcuni anni fa, poiché affrontano solo i popoli antichi fino alla quinta. Dovranno aspettare la scuola secondaria di primo grado per studiare Medioevo, Rinascimento fino al Novecento e alle guerre mondiali. Vi sembra possibile che un ragazzino possa scoprire gli ultimi secoli della storia solo a tredici anni? Troppo tardi!
Ormai da decenni si è assistito all’invasione dello strutturalismo. In Italia è arrivato più tardi che altrove, ma l’impatto sullo studio della letteratura è stato imponente e, oserei dire, devastante. Il grande scrittore grande Todorov ha scritto il saggio La letteratura in pericolo, compromessa seriamente da un predominio della critica letteraria a scapito di un vero assaporamento dell’opera. Spesso, nelle antologie i testi, deprivati del loro valore, sono diventati strumenti per fare esercizi di critica letteraria o per acquisire una competenza.
Dovremmo reintrodurre lo studio di due discipline che fino a qualche tempo fa erano il cardine della scuola: Logica e Retorica. Occorrerebbe un libro solo per mettere in luce le aporie del sistema scolastico italiano. Ma ripeto: la riscossa non sarà nelle riforme del sistema, ma dal risveglio degli insegnanti.
LA CONVERSAZIONE CON I GIOVANI
Un’ultima riflessione. Credo che sia importante un dialogo costante dell’insegnante singolarmente con ogni alunno, al di fuori della classe, non solo quando emergano difficoltà o problemi nel rendimento scolastico.
Devono, poi, essere ricercati momenti in cui gli studenti siano guidati nell’affrontare problemi o nel rispondere alle loro domande. Mi capita, talvolta, di mettere a tema la domanda di felicità o l’esperienza della libertà o altre domande dei giovani.
Si possono utilizzare modalità periodiche di ritrovo come “Il Caffè letterario” (una volta al mese a partire da un libro assegnato come lettura) o il Cineforum in orario pomeridiano, con la stessa formula del dialogo guidato a partire da un film: esempi di temi annuali da affrontare sono l’esperienza nella vita, l’amore, la libertà, l’amicizia. Anche nei viaggi di istruzione si può riprendere la stessa modalità di lavoro.
Naturalmente, queste modalità richiedono un profondo ripensamento del mestiere dell’insegnante, non più impegnato con gli studenti solo nelle diciotto ore di lezione frontale, ma anche coinvolto in altri spazi extradidattici e nel percorso di crescita. I giovani, che sentono così forte l’urgenza di una compagnia umana, non devono rimanere da soli nel loro cammino. Occorrono figure di adulti, in primis, ricordiamolo bene, i genitori, che non possono essere sostituiti nel loro compito educativo; necessitano, però, anche altri adulti, testimoni che valga la pena fare fatica, studiare, lavorare, impegnarsi nella realtà.
Infine, come una classe di studenti ha bisogno di un maestro, allo stesso modo un gruppo di insegnanti ha bisogno di essere accompagnato nel giudizio sul proprio compito e sull’attività educativa svolta.
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