Non c’è ragione senza verità e verità senza ragione
di Luigi Negri
Pubblichiamo la lezione tenuta da monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio al Liceo don Gnocchi di Carate Brianza il 18 aprile 2015.
Voglio introdurmi al tema di questo incontro con una frase che don Luigi Giussani ripeteva ogni anno all’inizio dei suoi corsi di Introduzione alla Teologia in Università Cattolica: «Io non vi devo convincere di niente e non intendo convincervi di niente; tendo invece a darvi un metodo con il quale misurare la vostra umanità di fronte alle varie proposte in cui vi imbatterete, fornendovi quindi un criterio per scegliere, in primo luogo per prendere posizione di fronte alla mia proposta».
Io vi proporrò, come vedrete, due impostazioni diverse per quanto riguarda il rapporto fra fede e ragione, due impostazioni che hanno preso corpo nel tessuto di quella grande civiltà occidentale di cui ha parlato Benedetto XVI a Regensburg. Queste due visioni, nella loro radicale alternatività, si sono formulate in stretto contatto: non ci sarebbe il razionalismo moderno, se non ci fosse stato il protestantesimo, se non ci fosse stata quella fuga intellettualistica che è poi culminata nel razionalismo, nell’illuminismo, nelle grandi ideologie totalitarie, nei sistemi socio-politici dipendenti da esse. È stata una vicenda complessa, connotata certamente da una contiguità. Queste due visioni non solo nascono vicine, ma si sono anche sviluppate in un rapporto di reciproco condizionamento: l’una influisce sull’altra e viceversa, più di quanto a prima vista non si possa pensare; è certo alla grandezza ed alla limpidità dell’insegnamento di Benedetto XVI che dobbiamo far riferimento per capire un po’ di più quali siano le questioni in atto nell’ambito del nesso fra fede e ragione. Entriamo perciò nel tentativo di delinearle.
CHE COS’È LA FEDE E CHE COS’È LA RAGIONE, NELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE, CLASSICA E CRISTIANA
Direi che c’è una prima grande osservazione, insieme storica, critica e teorica: che cos’è la ragione? O, si potrebbe dire, come si muove la ragione? La ragione infatti è un movimento, è un movimento dell’intelligenza e del cuore, nel quale l’uomo esprime quella strutturale tensione senza la quale non è uomo. Si tratta del movimento indirizzato a comprendere il senso ultimo della realtà. Un uomo, per il fatto stesso che è uomo, si trova alle prese con un cammino; ecco la grande e suggestiva espressione greca: la vita è un odòs, un cammino, un sentiero; l’uomo, in quanto esiste come essere consapevole, è immediatamente alle prese con il grande compito di comprendere la realtà; non innanzitutto di dominarla scientificamente, non di manipolarla tecnologicamente, ma di comprenderla. L’uomo si trova infatti proiettato dentro la realtà, come si entra in un contesto amichevole: la realtà è da lui avvertita come una presenza, non come un oggetto da usare. Nell’entrare in questa presenza occorre una grande capacità di intelligenza, occorre cioè comprendere la realtà secondo tutti i suoi fattori. Ma ci vuole anche un grande rispetto, non si conosce senza rispetto. Meglio, come diceva Sant’Agostino: «Non si conosce senza amicizia».
Noi abbiamo invece ereditato dalla modernità un’idea di natura delimitata in rigidi confini, come se consistesse in un insieme di oggetti, di carattere storico, scientifico, naturale, cosmico, sociale, storico, oggetti che la ragione deve conoscere il più adeguatamente possibile allo scopo di poterli manipolare.
Al contrario la ragione è un cammino verso una realtà che sorpassa l’uomo e di cui l’uomo sente assolutamente la necessità. «Mostrami un’amante, che sia pur bellissima – dice Romeo a Giulietta – a che servirà la sua bellezza se non come un segno, dove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella?».
L’uomo è alla ricerca del vero, del bene, del bello e del giusto, e in queste grandi domande il suo cuore si propone ogni giorno come una tensione inesorabile. La ragione sostiene questa impresa, si pone al servizio di questa impresa, la ragione si indirizza a rendere possibile all’uomo una conoscenza adeguata della realtà. Per gli antichi filosofi, solo dall’intuizione della verità ultima discendevano poi le regole di conoscenza e di comportamento; da questa intuizione, che i filosofi chiamavano la prima saggezza, nasceva poi la capacità di conoscere anche gli oggetti e di affrontare le questioni particolari.
Io credo che questa posizione conoscitiva di fronte alla realtà debba essere recuperata perché appartiene alla grande tradizione della nostra cultura occidentale. Più precisamente occorre recuperare questo cammino verso il vero o, come ha detto Benedetto XVI a Regensburg, questo domandare greco, in forza del quale si cerca una cosa necessaria a me uomo ma che non coincide con me, che è oltre me, quindi nei confronti della quale l’uomo avverte innanzitutto una inesorabile devozione. Don Luigi Giussani ci ha insegnato che, alla fine, chi più intensamente cammina verso il vero, assume un atteggiamento di preghiera. «Dio, se ci sei, rivelati a me» ha scritto il grande Manzoni; questa è la posizione dell’uomo, non dell’intelligente, non del colto, non del laureato. Questo è l’uomo che, in quanto vive questa tensione verso la verità, tende a realizzare in pienezza la sua umanità, mantenendo vivo il movimento della ragione; l’uomo è un movimento verso il vero; se perde la tensione a conoscere il vero, sprofonda, scende sotto l’umano. La questione in gioco è il movimento della vita; la ragione guida un movimento, non possiede una materia, un insieme di materie giustapposte.
Ora, da questa concezione della vita come movimento, possiamo trarre già una prima conseguenza, imponente sul piano etico, che riprenderemo poi affrontando il tema della violenza: non si conosce senza amicizia e non si vive senza rispetto. Chi cerca il vero, rispetta l’altro che lo sta cercando come lui, anche se lo dovesse cercare secondo una modalità totalmente diversa; chi cerca non si impone; chi cerca compie il suo cammino e dà credito all’altro accanto a lui che fa altrettanto; così diceva papa Benedetto a Regensburg. Dal rispetto reciproco nasce la società, una società della libertà e della democrazia.
Non è innanzitutto perché noi abbiamo la possibilità di leggere i libri dei grandi filosofi che sappiamo mantenere questa posizione umana, capace di rispetto del diverso; è perché questa posizione ci è entrata nel sangue e nelle ossa, costituisce il livello profondo del nostro tessuto culturale, della nostra tradizione; almeno ancora per un po’ di tempo perché non si sa quanto resisteremo sotto l’urto terribile ed eversivo dei mezzi della comunicazione sociale. Se è terribile che vengano distrutti i documenti della grande civiltà dai barbari che si accampano in certe zone del Medio Oriente, è ancora più grave che si attacchi questa concezione di uomo, insita nella tradizione dell’Occidente, una concezione che ha reso possibile quel tentativo di pacifica convivenza civile, di una società rispettosa delle diversità, che connota la nostra storia.
Abbiamo dunque delineato la ragione come un’inesorabile capacità di camminare verso il vero, lungo un cammino che non finisce mai. L’esperienza di questo cammino sopravanza continuamente la domanda di verità che è in me, perchè, quando mi metto a cercare, capisco che la risposta non è in me. Le due cose non sono contraddittorie: cerco il vero, perché senza il vero non sono me stesso, ma il vero non coincide con quello che già penso; se coincidesse con quello che già penso non mi metterei a cercare. Il movimento dell’intelligenza dimostra che l’uomo non possiede quello che pur desidera possedere, come essenziale per sé e per la sua vita.
Benedetto, dopo aver aperto questa grande questione, la porta fino alle sue conseguenze più esistenziali e quotidiane, fino all’amicizia ed al rispetto; chi cerca non è violento, né con se stesso né con gli altri; chi cerca la verità ama il vero più di sé e, direi di più, ama il vero più della modalità con cui gli appare; non considera assoluta la modalità con cui percepisce il vero, considera assoluta la devozione al vero.
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