Tra le difficoltà per petrolio e sanzioni,
in Russia rinasce il senso dello stato
Secondo gli osservatori russi, persino le menti più pigre capiscono ormai che la Russia non cambierà la sua politica estera tanto invisa alle capitali nordamericane ed europee.
Fare la guerra convenzionale appare impossibile, e all’occidente non resta che la Uw (unconventional warfare), come la definisce il Pentagono, vale a dire la guerra non convenzionale.
Ne fanno parte certe misure economiche, che costituiscono una delle premesse principali per rovesciare Vladimir Putin.
Le sanzioni indubbiamente recano danno alla Russia. Danneggiano anche chi le ha introdotte.
Ai russi sembra stravagante il modo di agire dei politici occidentali: alcune loro dichiarazioni assomigliano a un giuramento per privare i loro cittadini di posti di lavoro fino a che gli Stati Uniti e l’Europa non avranno rovinato l’economia russa.
L’occidente ce la farà?
In Russia almeno per il momento pochi ci credono.
Anzi, si parla continuamente della svolta economica richiesta da anni, mai fatta e finalmente resa inevitabile grazie a Dio e alle sanzioni occidentali.
Economisti e analisti non si stancano di ripetere il vecchio proverbio russo: “Il mugik non fa il segno della croce finché non tuona”. Il tuono delle sanzioni è assordante, ma gli uni dicono “ben vengano!”, gli altri – sono in maggioranza – preferirebbero farne a meno, e tutti in coro gridano “sveglia!”.
Anche perché c’è da affrontare un pericolo più grave delle sanzioni, vale a dire le insidie della perdita del valore della valuta nazionale – il rublo – nei confronti del dollaro e dell’euro.
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