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sábado, 21 de noviembre de 2015

Per l’islamico argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici.


Ratzinger a Ratisbona ci aveva già detto tutto

di Massimo Introvigne


Si avvicina l’anno 2016, in cui cadrà il decimo anniversario del discorso tenuto a Ratisbona nell’Aula Magna dell’Università il 12 settembre 2006. Papa Ratzinger amava molto gli anniversari. Qualcuno potrebbe pensare che celebrare quello del discorso di Ratisbona lo amareggerebbe, visto quanto poco fu capito e quanto spesso fu travisato. Ma forse gli farebbe piacere, perché si tratta di uno dei vertici della sua analisi culturale della storia dell’Europa e del suo confronto con l’islam. Tragedie come quella di Parigi l’hanno reso ancora più attuale. Mi porto dunque avanti con il lavoro, e avvio una meditazione che spero possa accompagnarci nel corso del 2016.

A Ratisbona Benedetto XVI parte da un dialogo che vede contrapposti nel 1391 ad Ankara l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un saggio persiano musulmano. L’imperatore gioca fuori casa, dopo avere ricevuto un invito che non può rifiutare ad accompagnarlo in una partita di caccia dal sultano turco Bayazet I, il cui minaccioso esercito è molto più potente del suo. Sulla passione per la caccia di Bayazet, Manuele si permette anche qualche battuta: il sultano si aspetta, dice, di trovare in Paradiso non solo le famose vergini, ma anche un buon numero di cani da caccia. Notiamo, di passaggio, che benché Bayazet I sia passato alla storia come un sovrano piuttosto crudele, da certi punti di vista la tolleranza di questi musulmani turchi del XIV secolo regge favorevolmente il paragone con quella di parecchi musulmani moderni. Manuele può permettersi – in un Paese musulmano e in pubblico – non solo la battuta sui cani paradisiaci, ma anche quelle aspre critiche a Muhammad la cui semplice citazione da parte di Benedetto XVI indusse l’islam fondamentalista a proteste, manifestazioni di piazza e perfino omicidi nel 2006.

Non amando la caccia, Manuele si trova un altro passatempo. Sulla piazza di Ankara, organizza unaspecie di talk show dove di fronte a un folto pubblico dibatte per ventisei serate con un intellettuale musulmano – ma lo stesso imperatore è un appassionato di filosofia – sui meriti rispettivi del cristianesimo e dell’islam. Tuttavia, nel 1391 certamente Manuele non può invocare il Vangelo o la teologia di fronte a un pubblico musulmano: propone allora al suo interlocutore di discutere non sulla base della fede, ma della ragione. L’islamico accetta, ma il dialogo non va da nessuna parte perché Manuele e il musulmano hanno due idee diverse della ragione. Per l’imperatore greco la ragione è il fondamento filosofico di tutte le cose. Per il musulmano questo fondamento non esiste: il suo Dio, Allah, «non dipende da nessuno dei suoi atti» e può cambiare ogni minuto le leggi che regolano il mondo, così che ogni conoscenza razionale è incerta e provvisoria.

Per l’islamico argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici. La suanozione di ragione è meramente strumentale. Da questo punto di vista il quarto dei ventisei dialoghi fra l’imperatore e il saggio islamico, apparentemente una disputa – precisamente – “bizantina”, ha invece la sua importanza. Manuele II contesta l’opinione di alcuni musulmani secondo cui, dal punto di vista della capacità di conoscere con certezza la verità, l’anima dell’uomo e quella degli animali non sono poi così diverse. Niente affatto, ribatte Manuele: l’uomo ha la ragione, che gli animali non hanno. Ed è evidente che importanti qui non sono tanto gli animali, ma la possibilità della ragione umana di conoscere la verità.

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