La reale situazione del Venezuela raccontata da un vescovo coraggioso e senza peli sulla lingua
da Alessio Falsavilla
Intervista a Ovidio Perez Morales che ci spiega cosa sta avvenendo nel paese. «La vita politica è come una tenaglia che si sta chiudendo, e non si riesce a immaginare che cosa le impedirà di chiudersi»
Con l’inflazione su base annua al 60 per cento, alcuni alti gradi dell’esercito chavisti della prima ora che invitano il presidente Nicolas Maduro a dimettersi e il ministro della Pianificazione e chavista storico Jorge Giordani che spara a pallettoni sull’inettitudine del presidente e l’inefficienza della spesa pubblica poche ore dopo essere stato rimosso dalla sua carica, il governo del Psuv (Partito socialista unito del Venezuela) sta cercando di normalizzare una situazione politica ed economica sempre più precaria attraverso annunci in serie. Quello dell’unificazione degli attuali tre cambi differenti del bolivar, la valuta nazionale; quello di una “riforma strutturale del governo” che riguarderà soprattutto la lotta alla corruzione e l’efficienza della gestione economica.
E quelli del presidente Maduro, che assicura: «Revisioneremo tutto, riuniremo sessioni coi vicepresidenti e con tutti i ministri, chiedendo rendiconti sullo stato di avanzamento di ogni progetto e su come viene speso il bilancio in questione». Adesso tutti aspettano il congresso del Psuv, previsto fra il 26 e il 29 luglio, per capire se il socialismo bolivariano ha ancora qualche asso nella manica oppure è avviato a un tramonto pieno di pericoli per 30 milioni di venezuelani. Ma come è arrivato il Venezuela a questa strettoia della storia? Pochissimi, al di fuori degli oppositori politici dichiarati e di alto profilo, sono disposti a parlare a viso scoperto, assumendosi la responsabilità dell’analisi. Fa eccezione un uomo sperimentato, coraggioso e attento osservatore come il già arcivescovo di Los Teques e prima ancora di Maracaibo, Ovidio Perez Morales (in foto). Lui risponde a qualunque domanda.
Eccellenza, gli spazi di libertà sono sempre più ristretti in Venezuela e l’economia sempre più fragile. Come si spiega questa deriva?
È una traiettoria storica che arriva da lontano. Per alcuni decenni, a partire dal 1958, il paese ha conosciuto una democrazia dell’alternanza e da un certo momento in poi una sorta di bipartitismo, costituito dai socialdemocratici di Acciòn Democratica e dai democristiani del Copei. Si è creduto che le istituzioni democratiche fossero ormai stabili e non ci si è più occupati dell’educazione alla democrazia. I partiti si sono concentrati nelle lotte di potere e nel clientelismo, e non si sono più occupati della formazione. Si è persa l’ispirazione ideale del fare politica, e si è giocato con le istituzioni, arrivando a defenestrare, con un voto parlamentare, un presidente eletto senza pensare ai problemi che ciò avrebbe creato. I media si sono dati interamente a una continua campagna contro la “partitocrazia”, e l’opinione pubblica, sempre più sconcertata, si è lasciata catturare dall’antipolitica. Nel 1998 Hugo Chavez ha capitalizzato la delusione e la protesta popolari presentando la propria candidatura presidenziale come la soluzione per porre fine alla corruzione e al clientelismo. La sua campagna elettorale era improntata al populismo, e la gente l’ha premiata senza chiedersi qual era il suo vero progetto e senza ricordarsi che era lo stesso uomo che nel 1992 aveva tentato un colpo di Stato.
Qual era questo progetto che è rimasto sullo sfondo in occasione del suo primo trionfo elettorale?
Un progetto totalitario, l’ho detto molte volte e non ho paura di ripeterlo. Un progetto che mira al controllo di tutti gli ambiti della vita sociale: politica, economia e cultura. Quest’ultima comprende i media, il sistema educativo, l’ethos del popolo e i suoi valori. È un totalitarismo di tipo social-comunista, basato sul modello cubano, a cui ci si è completamente consegnati. Chavez curava la sua malattia a Cuba: lì conoscevano dettagliatamente le sue condizioni di salute, mentre noi venezuelani non sapevamo nulla di certo. Il presidente cubano Raul Castro è arrivato a dire che Cuba e Venezuela sono ogni giorno di più la stessa cosa. Quando sento dire da qualcuno che il nostro governo è inefficiente e incapace, io lo fermo subito e gli dico: «No, quell’inefficienza è il risultato dell’applicazione di un progetto che mira alla distruzione della società e al suo assorbimento nello Stato».
Uno stato totalitario di impronta social-comunista che è anche un grande paese petrolifero: un caso unico nell’attuale panorama internazionale.
In questi anni tutti i poteri dello Stato sono stati concentrati nell’esecutivo, e questo processo è stato favorito dal fatto che il nostro è un paese felicemente e nello stesso tempo disgraziatamente petrolifero. Abbiamo entrate facili, dalle quali conseguono spese facili. Questa situazione permette a chi tiene le redini dello Stato di fare molte cose. Il Venezuela non avrebbe al suo servizio una clientela di stati latinoamericani che alle riunioni dell’Osa votano come vuole il governo venezuelano, se non disponesse dei proventi del petrolio. Si è detto che Hugo Chavez era un grande leader carismatico. Carismatico sì, ma soprattutto dotato di un ricco libretto degli assegni. Gli applausi erano pagati.
Però c’è ancora libertà di espressione nel paese. Nei totalitarismi social-comunisti non è così.
Solo in parte. C’è una pressione costante sui media di opposizione che si manifesta attraverso inchieste giudiziarie a loro carico, leggi sul giornalismo, ricatti relativi alle inserzioni pubblicitarie. I due periodici principali stanno lentamente morendo, Globovision, tivù storicamente critica nei confronti del chavismo, colpita da multe e inchieste giudiziarie, alla fine è stata venduta. Nello stesso tempo, abbiamo visto una moltiplicazione progressiva di media statali, tivù e radio comunitarie che formano un sistema nazionale integrato di comunicazione al servizio del governo. In Venezuela i media audiovisivi in passato erano quasi soltanto privati. È normale che un paese abbia tivù e radio di proprietà statale, ma da noi i media statali non garantiscono il pluralismo, sono semplicemente al servizio del governo. Nel sistema educativo vediamo all’opera lo stesso processo. Scuole e università private non sono state chiuse d’autorità, ma poste sotto controllo o soffocate lentamente. Si ricattano le scuole coi sussidi e si impongono loro libri di testo ideologici. Nelle università le tasse non possono più essere indicizzate con l’inflazione (possono essere aumentate solo del 50 per cento dell’aumento annuo dell’inflazione) e non si permette l’istituzione di nuove facoltà. La verità è che il socialismo e il comunismo non sono mai esistiti: chi dice di volerli realizzare, in realtà dà vita a uno statalismo feroce dove tutto dipende dal governo centrale e la base non ha nessun potere. Quello che abbiamo avuto in Venezuela è stato un capitalismo di Stato incentrato sul lìder maximo.
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Eccellenza, gli spazi di libertà sono sempre più ristretti in Venezuela e l’economia sempre più fragile. Come si spiega questa deriva?
È una traiettoria storica che arriva da lontano. Per alcuni decenni, a partire dal 1958, il paese ha conosciuto una democrazia dell’alternanza e da un certo momento in poi una sorta di bipartitismo, costituito dai socialdemocratici di Acciòn Democratica e dai democristiani del Copei. Si è creduto che le istituzioni democratiche fossero ormai stabili e non ci si è più occupati dell’educazione alla democrazia. I partiti si sono concentrati nelle lotte di potere e nel clientelismo, e non si sono più occupati della formazione. Si è persa l’ispirazione ideale del fare politica, e si è giocato con le istituzioni, arrivando a defenestrare, con un voto parlamentare, un presidente eletto senza pensare ai problemi che ciò avrebbe creato. I media si sono dati interamente a una continua campagna contro la “partitocrazia”, e l’opinione pubblica, sempre più sconcertata, si è lasciata catturare dall’antipolitica. Nel 1998 Hugo Chavez ha capitalizzato la delusione e la protesta popolari presentando la propria candidatura presidenziale come la soluzione per porre fine alla corruzione e al clientelismo. La sua campagna elettorale era improntata al populismo, e la gente l’ha premiata senza chiedersi qual era il suo vero progetto e senza ricordarsi che era lo stesso uomo che nel 1992 aveva tentato un colpo di Stato.
Qual era questo progetto che è rimasto sullo sfondo in occasione del suo primo trionfo elettorale?
Un progetto totalitario, l’ho detto molte volte e non ho paura di ripeterlo. Un progetto che mira al controllo di tutti gli ambiti della vita sociale: politica, economia e cultura. Quest’ultima comprende i media, il sistema educativo, l’ethos del popolo e i suoi valori. È un totalitarismo di tipo social-comunista, basato sul modello cubano, a cui ci si è completamente consegnati. Chavez curava la sua malattia a Cuba: lì conoscevano dettagliatamente le sue condizioni di salute, mentre noi venezuelani non sapevamo nulla di certo. Il presidente cubano Raul Castro è arrivato a dire che Cuba e Venezuela sono ogni giorno di più la stessa cosa. Quando sento dire da qualcuno che il nostro governo è inefficiente e incapace, io lo fermo subito e gli dico: «No, quell’inefficienza è il risultato dell’applicazione di un progetto che mira alla distruzione della società e al suo assorbimento nello Stato».
Uno stato totalitario di impronta social-comunista che è anche un grande paese petrolifero: un caso unico nell’attuale panorama internazionale.
In questi anni tutti i poteri dello Stato sono stati concentrati nell’esecutivo, e questo processo è stato favorito dal fatto che il nostro è un paese felicemente e nello stesso tempo disgraziatamente petrolifero. Abbiamo entrate facili, dalle quali conseguono spese facili. Questa situazione permette a chi tiene le redini dello Stato di fare molte cose. Il Venezuela non avrebbe al suo servizio una clientela di stati latinoamericani che alle riunioni dell’Osa votano come vuole il governo venezuelano, se non disponesse dei proventi del petrolio. Si è detto che Hugo Chavez era un grande leader carismatico. Carismatico sì, ma soprattutto dotato di un ricco libretto degli assegni. Gli applausi erano pagati.
Però c’è ancora libertà di espressione nel paese. Nei totalitarismi social-comunisti non è così.
Solo in parte. C’è una pressione costante sui media di opposizione che si manifesta attraverso inchieste giudiziarie a loro carico, leggi sul giornalismo, ricatti relativi alle inserzioni pubblicitarie. I due periodici principali stanno lentamente morendo, Globovision, tivù storicamente critica nei confronti del chavismo, colpita da multe e inchieste giudiziarie, alla fine è stata venduta. Nello stesso tempo, abbiamo visto una moltiplicazione progressiva di media statali, tivù e radio comunitarie che formano un sistema nazionale integrato di comunicazione al servizio del governo. In Venezuela i media audiovisivi in passato erano quasi soltanto privati. È normale che un paese abbia tivù e radio di proprietà statale, ma da noi i media statali non garantiscono il pluralismo, sono semplicemente al servizio del governo. Nel sistema educativo vediamo all’opera lo stesso processo. Scuole e università private non sono state chiuse d’autorità, ma poste sotto controllo o soffocate lentamente. Si ricattano le scuole coi sussidi e si impongono loro libri di testo ideologici. Nelle università le tasse non possono più essere indicizzate con l’inflazione (possono essere aumentate solo del 50 per cento dell’aumento annuo dell’inflazione) e non si permette l’istituzione di nuove facoltà. La verità è che il socialismo e il comunismo non sono mai esistiti: chi dice di volerli realizzare, in realtà dà vita a uno statalismo feroce dove tutto dipende dal governo centrale e la base non ha nessun potere. Quello che abbiamo avuto in Venezuela è stato un capitalismo di Stato incentrato sul lìder maximo.
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