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miércoles, 30 de julio de 2014

Matrimonio e comunione ai risposati.


«La Chiesa non capitoli davanti al pensiero dominante»


di Robert Spaemann


Riportiamo la riflessione del grande filosofo cattolico pubblicata da First Things. La Chiesa resterà il sale della terra o cederà alle logiche di un mondo in cui il matrimonio vale “finché l’amore non finisce”

Le statistiche del divorzio nelle società occidentali sono disastrose. Esse dimostrano che il matrimonio non è più considerato una realtà nuova e indipendente che trascende l’individualità degli sposi; una realtà, come minimo, che non può essere dissolta dalla volontà di uno solo di essi. Può invece essere sciolto dal consenso di entrambe le parti, o dalla volontà di un Sinodo oppure da un Papa? La risposta deve essere “no”, perché Cristo stesso ha dichiarato esplicitamente che l’uomo non può sciogliere ciò che Dio stesso ha unito. Questo è l’insegnamento della Chiesa cattolica.

La comprensione cristiana di ciò che è vita buona pretende di essere valida per tutti gli esseri umani. Tuttavia persino i discepoli di Gesù furono scioccati dalle parole del loro Maestro. «Allora non sarebbe meglio non sposarsi per nulla?», gli replicarono. Lo stupore dei discepoli sottolinea il contrasto fra il modo di vita cristiano e il modo di vita dominante nel mondo. Che lo voglia o no, la Chiesa in Occidente è sulla strada per diventare una controcultura, e il suo futuro ora dipende principalmente da una cosa: se sarà capace, in quanto sale della terra, di mantenere il suo sapore e di non essere calpestato dagli uomini.

La bellezza dell’insegnamento della Chiesa risplende solo quando non è annacquata. La tentazione di diluire la dottrina è rafforzata oggi da un fatto imbarazzante: i cattolici divorziano con la stessa frequenza dei non credenti. Qualcosa chiaramente non ha funzionato. È irragionevole pensare che tutti i cattolici divorziati e risposati abbiano iniziato i loro primi matrimoni fermamente convinti della loro indissolubilità e poi abbiano cambiato radicalmente idea nel corso del tempo. È più ragionevole presumere che si siano sposati anzitutto senza comprendere chiaramente cosa stavano facendo: bruciavano i ponti dietro di sé per sempre (cioè fino alla morte), cosicché l’idea stessa di un secondo matrimonio semplicemente non doveva esistere per loro.

Purtroppo la Chiesa cattolica non è senza colpa. I corsi di preparazione al matrimonio cristiano molto spesso non forniscono ai fidanzati un quadro chiaro delle implicazioni di un matrimonio cattolico. Se lo facessero, molte coppie probabilmente non deciderebbero di sposarsi in chiesa. Per altre, naturalmente, una buona preparazione al matrimonio fornirebbe un’utile spinta alla conversione. C’è un immenso fascino nell’idea che l’unione di un uomo e di una donna è “scritta nelle stelle”, che resiste per una forza dall’alto, e che nulla può distruggerlo, “nella buona e nella cattiva sorte”. Questa convinzione è una magnifica ed eccitante fonte di forza e di gioia per sposi che attraversano crisi matrimoniali e cercano di infondere nuova vita nel loro vecchio amore.

Invece di rafforzare il fascino naturale e intuitivo dell’indissolubilità matrimoniale, molti uomini di Chiesa, compresi vescovi e cardinali, preferiscono raccomandare, o almeno prendere in considerazione un’altra opzione, che è alternativa all’insegnamento di Gesù e che rappresenta fondamentalmente una capitolazione al pensiero dominante secolarista.

Il rimedio per l’adulterio implicito nelle seconde nozze dei divorziati, ci viene detto, non deve più essere la contrizione, la rinuncia e il perdono, ma il passare del tempo e l’abitudine, come se la generale accettazione sociale e il sentirci a nostro agio con le nostre decisioni e con le nostre vite avesse un potere quasi soprannaturale. Questa alchimia presumibilmente trasforma il concubinaggio adulterino che chiamiamo “secondo matrimonio” in un’unione accettabile che merita di essere benedetta dalla Chiesa nel nome di Dio. Se la logica è questa, non sarebbe men che giusto che la Chiesa benedicesse anche le unioni fra persone dello stesso sesso.


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