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jueves, 3 de diciembre de 2015

Un report sullo stato di salute dell’istituto del matrimonio e della famiglia


La situazione dei matrimoni in Italia


di Tommaso Scandroglio

L’Istat ha pubblicato un report sullo stato di salute dell’istituto del matrimonio e della famiglia. Qualche dato riferibile all’anno 2014. Si sono celebrati quasi 190mila matrimoni, 4.300 in meno rispetto all’anno precedente. Nel periodo 2009-2013 il calo è stato in media di 10mila matrimoni all’anno.

Dal 2008 al 2014 i matrimoni sono diminuiti di 57mila unità. Uno dei motivi è anche anagrafico: ci sono meno giovani di una volta e quindi meno persone che si sposano. Se però andiamo a vedere quanti uomini e donne su 1.000 si sposano ci rendiamo conto che l’inverno demografico conta relativamente: dal 2008 al 2014 il calo è del 19%. Ci si sposa poi sempre più in età matura: 34 anni per gli uomini, 31 per le donne (un anno in più per entrambi i sessi dal 2008). Quindi diminuiscono i matrimoni, ma nella diminuzione crescono i matrimoni con solo rito civile: siamo al 43% sul totale.

Al Nord addirittura i matrimoni civili hanno sorpassato quelli religiosi: 55%. In merito invece a separazioni e divorzi questi rimangono sostanzialmente stabili come numero assoluto. Ma attenzione a leggere bene i dati. Se negli anni ci si sposa sempre meno e il numero dei fallimenti matrimoniali si assestano, vuol dire che in realtà questi stanno aumentando in percentuale. Se sommiamo separazioni e divorzi avvenuti nel 2014 arriviamo al numero di 140mila. Nel 2014 quindi 190mila sono state le coppie che si sono sposate e 140mila quelle che hanno deciso di rompere con il coniuge. Ovviamente in quest’ultima cifra confluiscono matrimoni, poi falliti, celebrati in tutti gli anni precedenti e dunque c’è un effetto sommatorio che porta a simile esorbitante numero.

L’Istat ci informa poi che i matrimoni durano in media 16 anni, ma quelli più recenti vanno a gambe all’aria sempre prima. L’età media in cui ci si separa è intorno ai 45 anni. Nel 70% dei casi le coppie che si separano o che divorziano hanno figli. In merito alle convivenze queste sono raddoppiate dal 2008 al 2014, superando il milione. Sono dieci volte tanto invece rispetto al 1993. In Nord Italia il 50% delle coppie che si sposa ha prima convissuto. Il 25% dei bambini che nascono in Italia vengono alla luce da coppie conviventi.

E dunque in sintesi: ci si sposa di meno, i matrimoni durano sempre di meno, crescono le separazioni e divorzi e crescono le convivenze. Ancora più in sintesi: il rapporto di coppia è denotato da fragilità e precarietà. E così la convivenza assomiglia sempre più al matrimonio – vedi durata della convivenza che si allunga e il fatto che nascono sempre più bambini tra le coppie di fatto – e il matrimonio assomiglia sempre più alla convivenza – vedi durata sempre più breve e il fatto che nascono sempre meno figli tra coppie coniugate. Quali i motivi? Sono ovviamente dei più vari ma qui vogliamo accennare a quelli che attengono all’idea di amore che hanno in testa i giovani. Esistono delle vere e proprie patologie che infiacchiscono l’amore.

Prima patologia: l’egoismo e l’individualismo. L’altro è in funzione di me e rimango insieme a lui finché è utile alla mia serenità e benessere. Se il coniuge chiude i rubinetti del suo amore anche l’altro coniuge farò lo stesso. E così spesso dietro alle parole “Ti amo” si nasconde in realtà questa espressione: “Quanto è bello essere voluti bene da te”. È l’amore a specchio: io rifletto i raggi d’affetto che provengono dall’altra persona che è il mio sole, ma appena questo viene oscurato da una nuvola ecco che anch’io cesso di riflettere il suo amore.

Altra patologia: mancanza di responsabilità e maturità. Non si vuole un legame per sempre. Ecco perché si privilegia la convivenza, proprio perché si esclude l’indissolubilità e l’esclusività dell’amore matrimoniale. Chi convive infatti non ama, perché amare significa “Ci sei solo tu e per sempre”, caratteristiche proprie solo del vincolo coniugale. Invece si preferisce un rapporto liquido: la convivenza infatti è un po’ come essere sposati e un po’ come non esserlo. Esserci e non esserci, con la possibilità poi di uscirne con facilità ed immediatezza.

Si scambia poi il sentimento d’amore con l’amore, ma quest’ultimo è volere il bene dell’altro. L’amore si incardina sulla volontà non sui sentimenti, che sono sì importanti ma non costituiscono l’essenza dell’amore. La volontà allora persiste nonostante le difficoltà e i cambiamenti umorali, il sentimento per sua natura è invece incostante e mutevole. Ci si innamora spontaneamente, ma poi deve intervenire la volontà per continuare ad amare.

I giovani sono poi affetti spesso da mancanza di realismo: la vita matrimoniale appare facile e quasi scontata. Ed invece non esiste realtà umana che non sia difficile. Inoltre le mete più sono alte più comportano dedizione ed impegno. C’è da aggiungere poi che i fidanzati, prima di sposarsi, si conoscono poco. È una conoscenza che il più delle volte si arresta alla superficie: l’aspetto fisico, il carattere, gli interessi, etc. Ma manca un confronto sugli aspetti di fondo della vita: la concezione della famiglia, il valore dei figli, la dimensione religiosa, etc. Le coppie scoppiano allora non per motivi caratteriali – uno delle motivazioni che troviamo più frequentemente negli atti di divorzio – ma perché i punti di partenza della vita di lui e di lei sono divergenti, non assimilabili.

Aggiungiamo poi una mentalità consumistica che ha investito anche i rapporti di coppia – se una cosa/una relazione non funziona la butto e ne cerco un’altra più nuova – nonché l’influsso dei media e dei costumi diffusi – se tutti convivono e divorziano allora lo posso fare anch’io – ed ecco spiegato lo stato comatoso del matrimonio ed invece l’ottima forma fisica di cui gode la convivenza.

www.corrispondenzaromana.it

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