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domingo, 27 de diciembre de 2015

San Giuseppe, con la sua semplice e umile vita da carpentiere, ha mostrato cosa significa “santificarsi nel lavoro”


In missione per conto di Dio. Soprattutto sul lavoro


di Costanza Signorelli

Ho sempre sentito il desiderio di fare qualcosa di grande, qualcosa di veramente grande e bello nella mia vita. L’ho sempre avuto dentro sin da bambina, questo desiderio: fare qualcosa di grande. Probabilmente, è stato anche grazie a mio padre. Ci portava in giro, noi quattro fratelli, sempre con lo sguardo rivolto al cielo. Così da poter ammirare l’imponenza dei palazzi, la meraviglia delle vetrate, i particolari perfetti dei capitelli… con papà il tempo ha sempre avuto il sapore di una grande scoperta: lui che, più ancora dell’architettura, è un folle amante della sapiente bellezza. Sarà un po’ per questo, sarà un po’ perché ai piani alti mi hanno pensata così, fatto sta che ho sempre avuto in cuore questo desiderio.

Poi accadde che un giorno si pranzava in famiglia, parlando proprio delle fatiche del lavoro, e l’ospite – un carissimo amico oggi in missione in America Latina – non fece convenevoli nel dirmi che «attraverso il proprio lavoro, l’uomo può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo» (copyright, Benedetto XVI). Proprio così, tra un sorso di caffè e una fetta di torta, si finì a parlare del lavoro quotidiano come strada concreta per la propria santificazione. Ci rimasi di sasso, perché, d’accordo, io pensavo in grande, ma mica così in grande. Da quel momento mi si aprì un mondo, che, mano a mano, ho iniziato ad esplorare. Un mondo abitato dalle figure dei Santi e illuminato dal modello di San Giuseppe che con la sua semplice e umile vita da carpentiere, ha mostrato cosa significa “santificarsi nel lavoro” perché «ogni giorno ha dovuto provvedere alle necessità della Santa Famiglia con le sue mani e per questo la Chiesa addita quale patrono dei lavoratori». (Benedetto XVI ai lavoratori, 2006).

Certo, si potrà dire, a parlar di Santi si fa presto. Ma quando in gioco c’è la vita di tutti giorni, laquotidianità del lavoro di oggi, con tutte le contraddizioni e le storture di questa società? Bene. C’è un ingegnere napoletano che va raccontando proprio questo: santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare gli altri nel lavoro, oggi è possibile. Anzi di più, noi cristiani “Siamo in missione per conto di Dio”. Dice proprio così, Pippo Corigliano che di questa frase, rubata ai Blues Brothers, ci ha fatto il titolo del suo ultimo libro. (Mondadori). Con l’ironia tipica della sua terra e con la concretezza semplice di un uomo di fede, il napoletano ci va giù tosto. E spiega come faticare per l’unico vero Principale, renda il lavoro un’entusiasmante avventura e la vita sorprendentemente feconda. A dispetto del fatto che il tema richiederebbe approfondimenti teologici e filosofici, lui parla della santità quotidiana con totale “normalità”. Del resto, dice Corigliano, se i primi cristiani erano persone “normali”, ma «capaci di dimostrare con il proprio sangue la fede in Cristo», perché non potrebbe essere lo stesso per noi, oggi?

E così la strada per la propria “santificazione” da lontana, astratta, surreale che può apparire ci vieneincontro nelle vite diverse e concretissime di alcuni personaggi che Corigliano chiama i suoi “maestri”, i “docenti sul campo”. E non importa che siano giornalisti (Miriano, Montanelli), imprenditori (Mondadori, Barnabei, Floriano Noto e Gregorio Fogliani), santi (San Josemarìa Escrivà) o perfetti sconosciuti (Pina Cannas o zia Lucrezia). Tutti sono, al pari, arruolati nella medesima grande battaglia, quella in cui si fa a gara, non nel saper fare, ma nel saper amare e servire. Nell’essere amici di Gesù dentro ai propri compiti e mestieri.

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