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sábado, 4 de julio de 2015

Siria. Aleppo. «Io come parroco assisto a tanti miracoli ogni giorno. Dio non ci fa mai mancare la sua tenerezza»


 «Nella palude della guerra, ogni giorno assisto a tanti miracoli»


di Leone Grotti

Intervista a padre Ibrahim Sabbagh, che guida una parrocchia nella città siriana: «È facile eliminarci fisicamente, ma nessuno ci riesce. Questo dimostra che Cristo è presente»


«Io come parroco assisto a tanti miracoli ogni giorno. Dio non ci fa mai mancare la sua tenerezza». Padre Ibrahim Sabbagh non parla metaforicamente e la prova di quello che dice sta nel fatto che non ha paura di morire. Il frate francescano vive ad Aleppo, dove ha accettato di recarsi nel 2014 in piena guerra per guidare una parrocchia. La situazione della seconda città più importante della Siria è così grave che il cardinale Angelo Scola l’ha definita la «Sarajevo del XXI secolo». Ogni giorno nella parte della città dove vivono i cristiani, sotto il controllo del governo, divisa da quella in mano ai ribelli, cadono bombe e razzi. Nel numero di Tempi in edicola settimana scorsa è presente un ampio servizio sulla “Sarajevo del XXI secolo”, con testimonianze dalla città martoriata. Di seguito, riportiamo la testimonianza di padre Ibrahim, per il quale la morte è diventata un’esperienza quotidiana, «regna il terrore», eppure «ci sono fiori che nascono e crescono sulla palude della guerra».

Perché ad Aleppo regna il terrore?

Noi sappiamo che la città di Aleppo è circondata, ma queste bombe, questi regali di morte che cadono dal cielo, sono il male peggiore perché non fanno differenza fra un bambino, un anziano, un soldato, un uomo armato o non armato. Quindi regna il terrore.

Perché subite questi attacchi?

Il 15 giugno abbiamo subito un attacco molto pesante, con decine di morti e centinaia di feriti, perché l’inviato dell’Onu, Staffan De Mistura, ha incontrato il presidente Assad. Di solito i bombardamenti si fanno più forti durante queste visite, perché alcuni gruppi ribelli non vogliono la pace e manifestano così questa mancanza di volontà. Siamo in una fase molto difficile, ci aspettiamo il peggio.

I cristiani hanno paura?

Sì, sono spaventati, come le altre minoranze. Non vi potete immaginare i casi di terrore che dobbiamo trattare ogni giorno. Due settimane fa una bomba è caduta vicino ad una farmacia, uccidendo il farmacista, un uomo di 45 anni. La mattina dopo è venuta da me una donna: passava davanti alla farmacia quando è caduta la bomba, ma è sopravvissuta. Mi ha detto che non riesce più a dormire, è sfinita ma deve lo stesso alzarsi per andare al lavoro. Sono cose piccole ma quotidiane e diventano sempre più pesanti per chi soffre questa tortura da quasi cinque anni.

Perché è tornato in Siria? Che cosa può fare un sacerdote in mezzo alla guerra?

Noi pastori cerchiamo di consolare la nostra gente con la parola, l’assistenza spirituale e anche quella materiale, per quanto possiamo. Cerchiamo di alleggerire un po’ la croce a queste persone, anche se non possiamo portarla via. Cerchiamo in ogni modo di manifestare la presenza del Buon pastore, della tenerezza di Dio, perché la gente ne ha bisogno. Noi abbiamo anche organizzato un oratorio per i bambini, che ora sono più di 120 e vengono quattro volte la settimana; abbiamo preparato al matrimonio nove coppie che si stanno sposando in chiesa con grande coraggio e vogliono iniziare un cammino di nuove famiglie nonostante tutte le difficoltà che ci sono. Aiutiamo anche i poveri, i senza tetto, i bisognosi.

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