La mappa dell’Africa sconvolta dalla violenza jihadista (e dall’odio etnico)
di Leone Grotti
Il continente africano non conosce pace e la colpa non è solo di Boko Haram. In Africa orientale ci pensa al Shabaab a tenere in apprensione i cristiani e tutto il Kenya. I jihadisti somali affiliati ad al Qaeda hanno compiuto l’ultimo sanguinario attacco il 7 luglio: circa 15 terroristi hanno fatto irruzione in un villaggio nel nord-est del Kenya, vicino a Mandera, uccidendo almeno 14 minatori. Rivendicando l’attentato, il portavoce dei jihadisti ha sottolineato che le vittime erano cristiane.
Si tratta dell’attacco più grave da quello del 2 aprile, quando gli al Shabaab erano entrati nell’università di Garissa massacrando 148 studenti cristiani, separandoli accuratamente dai musulmani. Con l’attentato di Mandera, hanno mantenuto la promessa di morte fatta prima dell’inizio del Ramadan: «Daremo agli infedeli kenyani un assaggio del vero jihad». Dal 2013, gli al Shabaab hanno attaccato il Kenya 63 volte.
Mentre l’Onu cerca di mettere d’accordo i due governi della Libia, quello riconosciuto di Tobruk e quello islamista di Tripoli, il caos nel quale è sprofondato il paese favorisce l’avanzata dello Stato islamico. I tagliagole, che controllano la città di Sirte e hanno appena perso quella di Derna, attaccano spesso i cristiani per spettacolarizzare i propri crimini e farsi pubblicità. Dopo l’assassinio di 21 cristiani a febbraio, e altri 28 in aprile, a giugno l’Isis ne ha rapiti 86 di nazionalità eritrea, fuggiti dal regime di Isaias Afewerki per raggiungere l’Europa a bordo di un barcone.
Secondo Meron Estefanos, co-fondatore della Ong International Commission on Eritrean Refugees, che ha dato la notizia, «i miliziani dell’Isis hanno chiesto a tutti se erano musulmani. Ciascuno ha cominciato a dire di esserlo ma per provarlo bisogna conoscere il Corano e tanti non lo conoscevano». A un mese dal rapimento, 83 cristiani sono ancora nelle mani dei tagliagole.
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