Beretta: "Urge una ricostruzione umana della Grecia"
di Stefano Magni
"L’unico modo in cui si può aiutare la #Grecia è liberare le sue forze produttive. Una cosa difficilissima da fare, perché richiede il #coraggio di scommettere sulla capacità delle #persone di assumersi responsabilmente la gestione della loro vita. Di assistenzialismo si muore, alla lunga". Parla Simona Beretta (Università Cattolica di Milano) alla vigilia del voto al#referendum greco.
Domani è il giorno del referendum in Grecia. I cittadini sono chiamati a votare sulle condizioni poste dai grandi creditori internazionali. Accetteranno nuove misure di austerity in cambio del salvataggio dei conti pubblici? O diranno “No”, come chiede il governo Tsipras, credendo che, con questo esito, la Grecia sarà più forte al tavolo negoziale europeo? Alla vigilia dell’apertura delle urne, le immagini che arrivano da Atene ci mostrano una situazione disperata: code alle banche e nelle farmacie, scorte di cibo e medicinali, razionamento da tempi di guerra. “Non c’è bisogno di predire il futuro, per capire quali siano gli effetti del referendum e di una eventuale vittoria del ‘No’ – ci spiega la professoressa Simona Beretta, docente di Economia Internazionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Quel che è già successo in Grecia è un segnale indicativo di quel che potrebbe essere la prosecuzione dello status quo: la permanenza di questo governo e il suo progressivo allontanamento dall’Ue. Le persone hanno manifestato chiaramente, con le loro code ai bancomat, la percezione di una sicurezza che viene meno. Bisogna ricordare che per le famiglie, anche le più povere, la certezza del valore dei loro risparmi è un elemento fondamentale per la sopravvivenza. Ed è chiaro che il valore dei risparmi verrà eroso, nel momento in cui la Grecia dovesse abbandonare il riferimento a una moneta, quale l’euro, che non produce direttamente. Quel che c’è da attendersi è un’ulteriore fuga di capitali e imprese, reso possibile dalle nuove tecnologie, verso mercati considerati più stabili”.
Anche l’Ue subirebbe un danno grave, in caso di “Grexit”?
Anche qui, i danni che abbiamo già subito sono enormi, sia da un punto di vista economico che politico. La cattiva gestione di questa crisi è ormai sotto gli occhi di tutti. Un problema locale è diventato internazionale, si è espanso, ha attraversato momenti più o meno caldi, ma ormai ha già prodotto un disastro. Da un punto di vista politico, è diventata evidente la difficoltà da parte dell’Unione a far fronte a dinamiche tutto sommato normali nelle relazioni internazionali. Perché è frequente che un paese si indebiti e non sappia più come restituire i suoi debiti. Se si guarda alla storia del Novecento, è successo a tutti i paesi europei, molti dei quali hanno optato per la presa d’atto che il debito non fosse ripagabile. Non si è stati capaci di fare per tempo questo ragionamento e molti costi sono già stati sostenuti. Non credo che si disfi l’Ue se dovesse uscire la Grecia, ma certamente non è una bella dimostrazione, sia da parte della Grecia che dell’Ue. Perché non si può andare d’accordo solo quando l’economia tira, una forte Unione dovrebbe saper gestire anche conflitti in tempo di crisi.
I tedeschi lamentano di non poter condonare il debito a un paese insolvente, che non accetta nulla in cambio, anche per una questione di principio…
Chiunque può condonare un debito. La Germania ha sofferto moltissimo, dopo la Prima Guerra Mondiale, perché non le è stato riservato alcun trattamento favorevole sul condono del debito, almeno fino alla fine degli anni ’20, quando ormai era troppo tardi. E dopo la Seconda Guerra Mondiale, praticamente tutti i suoi debiti sono stati azzerati. Alla Russia sono stati condonati i suoi debiti nel 1998. L’Argentina esiste ancora come Paese, pur avendo fatto un default dopo l’altro. Non è vero, dunque, che non si possa condonare il debito: soprattutto, in certi casi, non si possono non condonare. Soprattutto se il debitore non ha più nulla con cui pagare. E in questa fase, soprattutto, il debito greco non è ripagabile.
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Leggi tutto: www.lanuovabq.it
"L’unico modo in cui si può aiutare la #Grecia è liberare le sue forze produttive. Una cosa difficilissima da fare, perché richiede il #coraggio di scommettere sulla capacità delle #persone di assumersi responsabilmente la gestione della loro vita. Di assistenzialismo si muore, alla lunga". Parla Simona Beretta (Università Cattolica di Milano) alla vigilia del voto al#referendum greco.
Domani è il giorno del referendum in Grecia. I cittadini sono chiamati a votare sulle condizioni poste dai grandi creditori internazionali. Accetteranno nuove misure di austerity in cambio del salvataggio dei conti pubblici? O diranno “No”, come chiede il governo Tsipras, credendo che, con questo esito, la Grecia sarà più forte al tavolo negoziale europeo? Alla vigilia dell’apertura delle urne, le immagini che arrivano da Atene ci mostrano una situazione disperata: code alle banche e nelle farmacie, scorte di cibo e medicinali, razionamento da tempi di guerra. “Non c’è bisogno di predire il futuro, per capire quali siano gli effetti del referendum e di una eventuale vittoria del ‘No’ – ci spiega la professoressa Simona Beretta, docente di Economia Internazionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Quel che è già successo in Grecia è un segnale indicativo di quel che potrebbe essere la prosecuzione dello status quo: la permanenza di questo governo e il suo progressivo allontanamento dall’Ue. Le persone hanno manifestato chiaramente, con le loro code ai bancomat, la percezione di una sicurezza che viene meno. Bisogna ricordare che per le famiglie, anche le più povere, la certezza del valore dei loro risparmi è un elemento fondamentale per la sopravvivenza. Ed è chiaro che il valore dei risparmi verrà eroso, nel momento in cui la Grecia dovesse abbandonare il riferimento a una moneta, quale l’euro, che non produce direttamente. Quel che c’è da attendersi è un’ulteriore fuga di capitali e imprese, reso possibile dalle nuove tecnologie, verso mercati considerati più stabili”.
Anche l’Ue subirebbe un danno grave, in caso di “Grexit”?
Anche qui, i danni che abbiamo già subito sono enormi, sia da un punto di vista economico che politico. La cattiva gestione di questa crisi è ormai sotto gli occhi di tutti. Un problema locale è diventato internazionale, si è espanso, ha attraversato momenti più o meno caldi, ma ormai ha già prodotto un disastro. Da un punto di vista politico, è diventata evidente la difficoltà da parte dell’Unione a far fronte a dinamiche tutto sommato normali nelle relazioni internazionali. Perché è frequente che un paese si indebiti e non sappia più come restituire i suoi debiti. Se si guarda alla storia del Novecento, è successo a tutti i paesi europei, molti dei quali hanno optato per la presa d’atto che il debito non fosse ripagabile. Non si è stati capaci di fare per tempo questo ragionamento e molti costi sono già stati sostenuti. Non credo che si disfi l’Ue se dovesse uscire la Grecia, ma certamente non è una bella dimostrazione, sia da parte della Grecia che dell’Ue. Perché non si può andare d’accordo solo quando l’economia tira, una forte Unione dovrebbe saper gestire anche conflitti in tempo di crisi.
I tedeschi lamentano di non poter condonare il debito a un paese insolvente, che non accetta nulla in cambio, anche per una questione di principio…
Chiunque può condonare un debito. La Germania ha sofferto moltissimo, dopo la Prima Guerra Mondiale, perché non le è stato riservato alcun trattamento favorevole sul condono del debito, almeno fino alla fine degli anni ’20, quando ormai era troppo tardi. E dopo la Seconda Guerra Mondiale, praticamente tutti i suoi debiti sono stati azzerati. Alla Russia sono stati condonati i suoi debiti nel 1998. L’Argentina esiste ancora come Paese, pur avendo fatto un default dopo l’altro. Non è vero, dunque, che non si possa condonare il debito: soprattutto, in certi casi, non si possono non condonare. Soprattutto se il debitore non ha più nulla con cui pagare. E in questa fase, soprattutto, il debito greco non è ripagabile.
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