Se lo Stato Islamico diventa davvero uno Stato
di Anna Maria Cossiga e Federico Bonarota
I jihadisti di al-Baghdadi sono anti-occidentali ma non per questo anti-moderni. Ha ragione Stephen Walt: se, come sembra, non riusciamo a sconfiggerli militarmente, dobbiamo abituarci all’idea di conviverci.
Forse ci eravamo cullati nell’idea che il cosiddetto Stato Islamico (Is) avrebbe visto presto la fine. Nell’immaginario collettivo e nelle favole i “buoni” hanno sempre la meglio sui “cattivi”, e più “cattivo” dello Stato Islamico chi c’è? Le cose, tuttavia, sembrano andare diversamente.
I jihadisti di al-Baghdadi controllano già un territorio grande quanto la Gran Bretagna, hanno di recente occupato Palmira, certamente mirano a prendere Damasco. Quanto a Baghdad, secondo John McLaughlin, vice-direttore della Cia dal 2000 al 2004, è difficile che riescano a conquistarla. Ma per demoralizzare gli oppositori del “califfato” non è necessario farlo: sarebbe sufficiente “infiltrare combattenti e armi, creando il caos”. Questa prospettiva appare del tutto realistica, anche perché quella che dovrebbe essere la coalizione anti-Is non sembra concludere molto.
I bombardamenti evidentemente non bastano e addestrare quel che resta dell’esercito iracheno nemmeno. Come sottolinea McLaughlin, “la gente non combatte perché viene addestrata; combatte perché crede in qualcosa. Al momento, i più convinti credenti della regione appoggiano lo Stato Islamico”. Per non parlare del fatto che l’Is può contare su paesi pronti a voltare lo sguardo dall’altra parte. Insomma, non è del tutto improbabile che il “califfato” possa diventare uno Stato vero e proprio, un’entità politica con cui la comunità internazionale dovrà, prima o poi, avere rapporti.
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