Il mendicante, la sofferenza e la ricerca dell’infinito.
di Rodolfo Casadei
«Il dolore accresce la percezione dell’insufficienza dei godimenti temporanei. Spinge a desiderare qualcosa che oltrepassi l’abituale, a cogliere fino in fondo ciò che viviamo».
«Noi non viviamo, ma speriamo di vivere, e quando le alte maree della disperazione ci lambiscono, o ci sommergono, quando la nostalgia, e ancora di più il rimpianto, ci tolgono il futuro, come salvare qualche goccia, qualche scintilla di speranza che ci consenta di vivere nonostante tutto: sia pure nell’angoscia, e nell’incertezza, nella inquietudine del cuore, e nella nostalgia di un passato che non c’è più? Come conciliare il tempo della nostalgia, e del rimpianto, ancorato al passato, con il tempo della speranza, rivolto al futuro, all’avvenire, e come sfuggire al fascino stregato del suicidio?». Un libro che pone domande del genere è, come si diceva una volta, roba da far tremare le vene ai polsi. Ma Il tempo e la vita, ultima fatica saggistica di Eugenio Borgna, è anche un meditato percorso che mostra la possibilità di una risposta luminosa. Dopo 53 anni trascorsi a farsi carico del dolore dell’anima di innumerevoli schiere di pazienti, lo psichiatra piemontese ha sviluppato una sensibilità per i significati esistenziali della sofferenza psichica che ne fa un impareggiabile interlocutore per quanti desiderano andare alle radici del disagio contemporaneo. Tutti i suoi libri sono frecce che indicano le strade per la salvezza, giammai istruzioni di pronto soccorso psicologico.
Professore, il libro mette a tema il tempo interiore, quello che non è misurato da orologi. Scrive che occorre recuperare il tempo interiore per percorrere i sentieri dell’interiorità, alla ricerca del senso della vita. Scopriremo così che solo l’infinito risponde alla nostra attesa. Stiamo male perché non facciamo questo. Da dove si comincia?
Si tratta di abituarsi a guardare a tutto ciò che ci accade cercando di coglierne gli orizzonti di senso, di trasformare ogni esperienza esteriore in un’esperienza interiore. Dobbiamo educarci a riconoscere le nostre risonanze interiori quando incontriamo gli altri, lavoriamo, sogniamo. Solo se cerchiamo sempre di cogliere negli avvenimenti esteriori l’anima, il senso, arriveremo a cogliere anche l’insoddisfazione, la relatività delle esperienze esteriori, e di contro l’importanza delle esperienze interiori, che ci avvicinano all’infinito. L’esperienza dell’infinito, in tutte le sue forme, ci avvicina a Dio.
Il libro parla molto del dolore, soprattutto quello dell’anima. Si cita Simone Weil: «Il dolore ci inchioda al tempo. Ma l’accettazione del dolore ci trasporta al termine del tempo, nell’eternità». Oggi viviamo in un’epoca che non accetta il dolore: quando non riesce a eliminarlo coi farmaci, elimina il malato suggerendogli l’eutanasia. Lei pensa che oggi sia possibile dire persuasivamente alle persone che anche una vita segnata dal dolore è degna di essere vissuta?
Sì. Le esperienze che ho fatto coi malati, e che hanno segnato la mia vita, mi hanno permesso di cogliere il dolore nelle sue radici di senso. Soprattutto le esperienze che ho potuto fare nei lunghi anni che ho vissuto in manicomio accanto alle persone più deboli e più fragili, incrinate dalla sofferenza, mi hanno dimostrato che laddove c’è un’esperienza del dolore, cresce immediatamente la percezione dell’insufficienza dei godimenti esterni, effimeri, temporanei, e cresce il desiderio di qualcosa che oltrepassi il contingente, l’abituale e ci porti verso l’infinito, alla ricerca di Dio. In quell’esperienza parole apparentemente astratte come “significato del dolore”, “accoglienza del dolore”, “conoscenza attraverso il dolore”, sono diventate realtà. Sono realtà oggi calpestate e combattute dalla società che si riconosce negli idoli della comunicazione televisiva e digitale, ma sta di fatto che la realizzazione più profonda di una vita che non sia chiusa dentro ai muri dell’egoità, per non dire dell’egoismo, si può ottenere soltanto se partiamo dalla coscienza che noi siamo anche ciò che diamo agli altri, che realizziamo fino in fondo le nostre aspirazioni solo quando siamo in relazione con gli altri. La mancanza che cogliamo in noi non può essere colmata se non in un amore che ci porti a trascendere i confini del nostro io e alla ricerca della voce di Dio, l’unica àncora possibile a cui legare la nostra vita.
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«Il dolore accresce la percezione dell’insufficienza dei godimenti temporanei. Spinge a desiderare qualcosa che oltrepassi l’abituale, a cogliere fino in fondo ciò che viviamo».
«Noi non viviamo, ma speriamo di vivere, e quando le alte maree della disperazione ci lambiscono, o ci sommergono, quando la nostalgia, e ancora di più il rimpianto, ci tolgono il futuro, come salvare qualche goccia, qualche scintilla di speranza che ci consenta di vivere nonostante tutto: sia pure nell’angoscia, e nell’incertezza, nella inquietudine del cuore, e nella nostalgia di un passato che non c’è più? Come conciliare il tempo della nostalgia, e del rimpianto, ancorato al passato, con il tempo della speranza, rivolto al futuro, all’avvenire, e come sfuggire al fascino stregato del suicidio?». Un libro che pone domande del genere è, come si diceva una volta, roba da far tremare le vene ai polsi. Ma Il tempo e la vita, ultima fatica saggistica di Eugenio Borgna, è anche un meditato percorso che mostra la possibilità di una risposta luminosa. Dopo 53 anni trascorsi a farsi carico del dolore dell’anima di innumerevoli schiere di pazienti, lo psichiatra piemontese ha sviluppato una sensibilità per i significati esistenziali della sofferenza psichica che ne fa un impareggiabile interlocutore per quanti desiderano andare alle radici del disagio contemporaneo. Tutti i suoi libri sono frecce che indicano le strade per la salvezza, giammai istruzioni di pronto soccorso psicologico.
Professore, il libro mette a tema il tempo interiore, quello che non è misurato da orologi. Scrive che occorre recuperare il tempo interiore per percorrere i sentieri dell’interiorità, alla ricerca del senso della vita. Scopriremo così che solo l’infinito risponde alla nostra attesa. Stiamo male perché non facciamo questo. Da dove si comincia?
Si tratta di abituarsi a guardare a tutto ciò che ci accade cercando di coglierne gli orizzonti di senso, di trasformare ogni esperienza esteriore in un’esperienza interiore. Dobbiamo educarci a riconoscere le nostre risonanze interiori quando incontriamo gli altri, lavoriamo, sogniamo. Solo se cerchiamo sempre di cogliere negli avvenimenti esteriori l’anima, il senso, arriveremo a cogliere anche l’insoddisfazione, la relatività delle esperienze esteriori, e di contro l’importanza delle esperienze interiori, che ci avvicinano all’infinito. L’esperienza dell’infinito, in tutte le sue forme, ci avvicina a Dio.
Il libro parla molto del dolore, soprattutto quello dell’anima. Si cita Simone Weil: «Il dolore ci inchioda al tempo. Ma l’accettazione del dolore ci trasporta al termine del tempo, nell’eternità». Oggi viviamo in un’epoca che non accetta il dolore: quando non riesce a eliminarlo coi farmaci, elimina il malato suggerendogli l’eutanasia. Lei pensa che oggi sia possibile dire persuasivamente alle persone che anche una vita segnata dal dolore è degna di essere vissuta?
Sì. Le esperienze che ho fatto coi malati, e che hanno segnato la mia vita, mi hanno permesso di cogliere il dolore nelle sue radici di senso. Soprattutto le esperienze che ho potuto fare nei lunghi anni che ho vissuto in manicomio accanto alle persone più deboli e più fragili, incrinate dalla sofferenza, mi hanno dimostrato che laddove c’è un’esperienza del dolore, cresce immediatamente la percezione dell’insufficienza dei godimenti esterni, effimeri, temporanei, e cresce il desiderio di qualcosa che oltrepassi il contingente, l’abituale e ci porti verso l’infinito, alla ricerca di Dio. In quell’esperienza parole apparentemente astratte come “significato del dolore”, “accoglienza del dolore”, “conoscenza attraverso il dolore”, sono diventate realtà. Sono realtà oggi calpestate e combattute dalla società che si riconosce negli idoli della comunicazione televisiva e digitale, ma sta di fatto che la realizzazione più profonda di una vita che non sia chiusa dentro ai muri dell’egoità, per non dire dell’egoismo, si può ottenere soltanto se partiamo dalla coscienza che noi siamo anche ciò che diamo agli altri, che realizziamo fino in fondo le nostre aspirazioni solo quando siamo in relazione con gli altri. La mancanza che cogliamo in noi non può essere colmata se non in un amore che ci porti a trascendere i confini del nostro io e alla ricerca della voce di Dio, l’unica àncora possibile a cui legare la nostra vita.
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