Karl Jaspers e il problema di Dio
Autore: Francesco Miano,
Karl Jaspers è una grande figura poliedrica del Novecento. In origine medico esperto di psicopatologie, il cui manuale, pubblicato nel 1913, viene in parte studiato ancora oggi, e che fu importante per lo sviluppo di alcune tendenze della psicopatologia e della psichiatria dell'epoca, Jaspers lavorava presso una nota clinica psichiatrica a Heidelberg, dove poi continuò a vivere insegnando filosofia. Nell'ambito degli studi psichiatrici, Jaspers si caratterizza fin dall'inizio per il tentativo di guardare all'interezza dell'umano, secondo un filone della psichiatria che cercava di superare le tendenze organicistiche dell'epoca, al fine di introdurre nell'ottica psichiatrica anche elementi della biografia del paziente, della sua esperienza di vita. Questo è un elemento di non secondario interesse, anche per quello che riguarderà lo sviluppo successivo della sua filosofia, che si concentrerà specialmente nella stesura di un'opera fondamentale, Philosophie.
Il passaggio di Jaspers dalla psichiatria alla filosofia avvenne sotto il segno di una profonda avversione verso la filosofia accademica, la quale, a sua volta, si mostrava infastidita da questo personaggio che non apparteneva al tradizionale circolo di filosofi e studiosi, ma che proveniva dal mondo delle scienze, delle quali, peraltro, Jaspers dichiarerà sempre l'importanza primaria sia per la conoscenza metodica sia per il sapere di oggetti. Le scienze sono fondamentali per entrare in profondità in campi precisi del sapere; tuttavia, rimangono alcune domande alle quali non sono in grado di dare risposta. Vi è una dimensione di unicità della vita umana che sfugge alla conoscenza metodica, e che apre un ulteriore ordine di ricerca, non in opposizione a quello delle singole scienze, ma che segnala un dato di essenzialità, di ricerca di profondità e di senso.
La filosofia di Jaspers, pur contenendo al suo interno numerosi cenni alla filosofia kantiana, si distingue sia da una prospettiva di teoria della conoscenza sia da un pensiero filosofico inteso come ricerca puramente intellettuale. Per Jaspers la chiarificazione dell'esistenza - e quindi un dipanare ciò che è, un portare alla luce - conduce a un filosofare che unisce la dimensione del pensiero e la vita, che ha cioè bisogno anche, in quanto filosofia dell’esistenza, dell’ “altra ala” della vita. Il pensiero da solo non basta. Questo è il cuore della sua ricerca, che trova in Philosophie all'inizio degli anni '30 una sua sintesi, proseguita oltre il buio del nazismo durante la Seconda guerra mondiale, dalla quale egli uscì comunque indenne, sebbene gli fosse stata sottratta la cattedra d'insegnamento e avesse dovuto vivere pericolosamente perché sposato con una donna ebrea.
Nel secondo dopoguerra, si affaticò sull’idea della centralità dell'esistenza, dell'attenzione del pensiero alla vita e alla ricerca di senso, in tanti campi della vita umana. Non a caso, sono presenti riflessioni di ordine politico, religioso e storico. Alcune opere sono molto note, una delle quali suscitò parecchio scalpore all'epoca, La colpa della Germania, relativa alla necessità, di cui Jaspers si faceva paladino, di un'assunzione di responsabilità più definita da parte dei tedeschi nell'aver permesso al nazismo di propagarsi e prendere potere. Sono affrontate anche tematiche politico-sociali, relative alla pace, e la grande problematica della bomba atomica, rispetto alla quale il filosofo fu tra i primi a denunciare la gravità e il pericolo a cui l'umanità era ormai irrimediabilmente sottoposta. Un pericolo assolutamente inedito, perché per la prima volta il genere umano si dimostrava in grado di annientare se stesso, ben oltre l'uccisione di un uomo per mano di un altro, ma attraverso la creazione di uno strumento fatale di distruzione di massa.
L'idea di filosofia di Jaspers può sembrare ad alcuni poco rigorosa, e così parve a Heinrich Rickert, un neokantiano ortodosso, che all'epoca si opponeva alla chiamata di Jaspers all'Università di Heidelberg. E tuttavia mi sembra una filosofia in grado di interpellare e affrontare la vita stessa e di aiutarci ancora oggi a imparare a pensare, un stimolo costante, uno spunto per continuare a farlo.
Il pensiero filosofico di Jaspers è strettamente legato al binomio esistenza-trascendenza. Per il filosofo il riferimento all'esistenza nasce da una distinzione, che lo allontana da Heidegger, nonostante sia stato per tanti versi a lui assimilato all'interno dell'unica dizione di esistenzialismo tedesco (anche se entrambi rifiutavano questa denominazione, preferendo il nome di “filosofia dell'esistenza”, perché ritenevano il termine esistenzialismo riduttivo rispetto a una ricerca comunque filosofica). Il termine esistenza, che comunemente usiamo per tradurre il tedesco Existenz, per Jaspers si differenzia dall'altra parola generalmente utilizzata, che è Dasein, cioè esserci. Questi due termini, che per Heidegger hanno una più stretta identificazione, non si corrispondono. La differenza consta nel fatto che esserci,Dasein, indica sostanzialmente il nostro essere qui e ora, determinati esseri biologici e sociali, dotati di certe caratteristiche, eppure viventi in un mondo dove non vi è una distinzione specifica da esistenza a esistenza. L'esistenza invece, dice Jaspers, è solo possibile. Non è un dato scontato. Mentre tutti siamo qui e ora necessariamente, non tutti esistiamo, cioè non tutti viviamo pienamente la possibilità dell'esistenza, ovvero nella dimensione della libertà, di un'autentica comunicazione con gli altri, di una vita in cui l'esistenza tende alla piena realizzazione della sua possibilità. Jaspers infatti non usa mai il termine esistenza senza accompagnarlo all'aggettivo “possibile”, möglich. Tutti quanti ci siamo, ma il nostro originario sforzo è quello di tendere a esistere pienamente. E, in fondo, la vita non consiste in altro se non nel trasformare e rilanciare il nostro esserci nella misura della libertà e della comunicazione con gli altri.
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