«Senza la fede ereditata da mia madre, non sarei Pupi Avati»
di Benedetta Frigerio
Intervista a tutto campo al grande regista
“Sapere educare. Affettività, sessualità e bellezza” è il titolo di un convengo che si terrà a Roma dal 7 all’8 marzo e che spiegherà a rappresentanti di enti scolastici, associazioni culturali, istituti e realtà impegnate nel campo dell’istruzione e della ricerca cosa significa educare. Cosa ci fa il regista cinematografico Pupi Avati fra gli ospiti? «Darò il mio contributo dicendo cos’è la famiglia», spiega a tempi.it. «Perché sono sposato da 50 anni e credo lo possa dire solo chi ne ha costruita una per tutta la vita».
- Lei ha scritto un’autobiografia (La grande invenzione, Rizzoli) che è tutta giocata sulla ricerca del proprio volto attraverso quello dei suoi antenati.
Perché?
Nell’arco di oltre 75 anni credo di aver maturato una conoscenza sufficiente per dire che i legami e le figure che mi hanno preceduto e introdotto alla vita sono fondamentali. I millenni passati confermano questo percorso per ognuno di noi: un uomo per crescere deve sapere da dove viene e deve imparare da qualcuno come si fa a vivere. Sopratutto, a un bambino servono una madre e un padre con i loro ruoli e doveri diversi, che, contrariamente a quanto si sente dire, non si devono scambiare, ma – semmai – completare.
Eppure, anche fatta salva la presenza di una madre e un padre, si pensa che non ci sia nulla di male nell’inversione di ruoli o che sia, addirittura, auspicabile.
Il padre è quello con cui il figlio si paragona, ma questa figura, nelle sue caratteristiche, è sempre più sminuita e debosciata. I padri non sono più padri. Le famiglie poi fanno un figlio a testa, con una media italiana di 1,3 bambini a nucleo, che è un modo di generare egoistico. Le nostre sono famiglie asfittiche, senza fratelli, cugini, zii, nonni per casa. Che solitudine! L’unica cosa che si aggiunge sono membri esterni che si palesano al fianco dei genitori separati e a cui i figli, poveretti, si dovrebbero pure affezionare. E poi ci lamentiamo se le nuove generazioni sono insicure e instabili. Manca loro il terreno del “per sempre” su cui appoggiare i piedi per immaginare un futuro da costruire.
Lei racconta che suo padre, con cui non ebbe un rapporto idilliaco, morì quando aveva 12 anni. E, sebbene sua madre non le abbia mai fatto mancare nulla, lei scrive: «Se solo avessi avuto la fortuna di crescere con lui…». Perché?
Una madre si riesce a ricattare, con lei si vive una sorta di corsia preferenziale necessaria, ma che non ha nulla a che vedere con quello che può offrire la figura paterna. Il padre entra in gioco dopo la madre, quando ti devi paragonare con il mondo esterno, perché è lui che ti insegna come affrontarlo. Anche se è morto, io so chi è mio padre con cui paragonarmi. Contrariamente a mia madre era severo, rude, meno consolatorio. Ma di questa figura ho nostalgia da quando ho 30 anni: ho fatto più di 45 film e vorrei sapere che pensa di ciò che faccio. Vorrei dirgli: «Papà, ho fatto il lavoro che avresti voluto fare tu. Ci sono riuscito! Hai visto?». Ecco come influisce un padre…
Lei ha ereditato la fede da sua madre. Perché non la ritiene un fardello imposto da una donna che per allevare i suoi figli non si risposò e che crebbe in un mondo cattolico in cui si sopportavano ancora i tradimenti dei mariti?
Le donne dell’Italia del mio passato soffrivano e non penso sia giusto. Però valutavano bene il prezzo della loro sofferenza: la mettevano sul tavolo della felicità dei figli e capivano che valeva la pena pagarla. Era un sacrificio fatto per amore. È ovvio che in un mondo dove esistono solo i diritti e non i doveri tutto ciò può apparire folle, fatto sta che le famiglie erano più forti di quelle odierne. Ora, dopo il primo incidente, mollano tutto, indebolendo i figli. Quindi la fede di mia madre è un dono. Perché è un dono avere davanti una donna come lei che ha confidato tutta la vita nella provvidenza. Per lei, nulla era impossibile a Dio e non si è mai fermata di fronte alle difficoltà. Questo ti permette davanti a una serata deprimente, di alzarti, lavarti la faccia e ricominciare di nuovo. Il mio mestiere è rischioso e so che, senza la fede ereditata da mia madre, non sarei Pupi Avati.
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