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miércoles, 6 de mayo de 2015

Il matrimonio diventa sempre più una relazione precaria, a tempo determinato, con la data di scadenza come se fosse uno yogurt.


Il divorzio matrimoniabile

di Tommaso Scandroglio


Gli onorevoli Alessia Morani (Pd) e Luca D’Alessandro (Fi) sono i primi firmatari del cosiddetto divorzio breve. Sei mesi, al massimo un anno e si può buttare nell’inceneritore legale il proprio matrimonio. Gli stessi Morani e D’Alessandro stanno cercando di far approvare un altro disegno di legge volto all’uxoricidio legalizzato, quello concernente i patti prematrimoniali.

Il Ddl prevede l’inserimento nel Codice Civile del seguente articolo, l’art. 162 bis: «I futuri coniugi, prima di contrarre matrimonio, possono stipulare un patto prematrimoniale in forma scritta diretto a disciplinare i rapporti patrimoniali in caso di separazione personale, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio».

In buona sostanza si tratta di questo: prima di sposarsi i nubendi mettono per iscritto le loro volontà in merito ai rapporti patrimoniali in caso di separazione o divorzio. Ad esempio possono decidere che una volta che si sono detti addio, l’uno versi all’altra una somma di denaro periodica, oppure le lasci in affitto una casa, oppure rinunci al mantenimento dell’altra parte salvo il diritto agli alimenti, oppure escluda «il coniuge della successione necessaria», come leggiamo nel testo del disegno di legge.

Quindi dopo il divorzio breve ecco il divorzio anticipato, preannunciato. Accordi prematrimoniali che guardano al postmatrimonio e nel mezzo ci affidiamo alla buona sorte. Divisi prima e dopo, con una breve pausa di vita a due tra il prima e il dopo. Un bel paradosso. Da un punto di vista giuridico questo disegno di legge potrebbe essere letto come antinomico rispetto alla previsione dell’art. 108 cc in cui si afferma che il matrimonio non può essere sottoposto né a termine né a condizioni.

Vero è che gli accordi prematrimoniali del Ddl non prevedono che i nubendi possano decidere che dopo un certo lasso di tempo divorzieranno, bensì solamente che, in caso di divorzio, gestiranno le loro relazioni patrimoniali in un certo modo. Né le condizioni previste dal Ddl sono quelle dell’art. 108 e dell’art. 160: i nubendi non possono mutare a loro arbitrio i diritti e doveri inderogabili del matrimonio. Comunque, detto tutto ciò, già ventilare l’ipotesi prima di sposarsi che si possa divorziare è un po’ come fare entrare il divorzio stesso non dalla porta principale della casa dei coniugi Rossi, ma di certo da quella sul retro.

L’aspetto però più inquietante non è da rilevarsi sul piano giuridico, ma su quello etico e culturale. Dal punto di vista della morale naturale, accettare l’ipotesi di divorzio, così come fa il Ddl qui in esame, significa provocare la nullità del matrimonio che si andrà a celebrare. Infatti, non solo secondo il Codice di diritto Canonico ma anche alla luce della legge naturale, il matrimonio esige dai nubendi l’accettazione della proprietà dell’indissolubilità.


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