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miércoles, 12 de agosto de 2015

Per comprendere qual’è la partita in gioco nel prossimo Sinodo


L’ Instrumentum laboris 2015: un attacco alla Veritatis splendor

di Roberto de Mattei

L’Instrumentum Laboris del 21 giugno 2015 offre tutti gli elementi per comprendere qual’è la partita in gioco nel prossimo Sinodo. La prima considerazione è di metodo. Il paragrafo 52 della Relatio Synodi del 2014 non ha ricevuto (come i paragrafi 53 e 55) la maggioranza qualificata dei due terzi, necessaria a norma di regolamento per la approvazione, ma è stato ugualmente inserito nel documento definitivo. Si è trattato di un’evidente forzatura, che conferma il progetto di aprire le porte ai divorziati risposati, nonostante l’opposizione di una parte consistente dei Padri sinodali.e soprattutto malgrado l’insegnamento contrario della Chiesa. Siamo molto vicino ad una sottile linea rossa che però nessuno, neanche il Papa, può varcare.

Nell’udienza generale del 5 agosto, Papa Francesco ha detto che “i divorziati risposati non sono affatto scomunicati e non vanno assolutamente trattati come tali: essi fanno sempre parte della Chiesa“. Non ci risulta però che nessuno tratti i divorziati risposati da scomunicati. Non bisogna confondere la privazione del sacramento dell’eucarestia a cui essi sono soggetti, con la scomunica, che è la più grave delle pene ecclesiastiche ed esclude dalla comunione della Chiesa . I divorziati risposati continuano ad essere membri della Chiesa e sono tenuti ad osservarne i precetti, ad assistere al Sacrificio della Messa e a perseverare nella preghiera (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1651). L’indissolubilità del matrimonio resta però una legge divina proclamata da Gesù Cristo e solennemente confermata dalla Chiesa nel corso di tutta la sua storia. La Chiesa esige per l’accesso all’Eucarestia lo stato di grazia, ottenuto normalmente attraverso il sacramento della penitenza. I coniugi divorziati e risposati si trovano oggettivamente “in stato di peccato grave manifesto” (Codice di Diritto canonico, n. 915), ovvero “in oggettivo stato di peccato mortale, stato che, se di pubblica notorietà, è aggravato dallo scandalo” (Opzione preferenziale per la famiglia. Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo, Edizioni Supplica Filiale, Roma 2015, n. 63). Se i divorziati risposati non hanno l’intenzione di rimuovere questa situazione di offesa a Dio, pubblics e permanente, non possono neanche accedere al Sacramento della penitenza, che esige il proposito di non ricadere nel peccato. La figura del divorziato risposato, come ha giustamente notato il cardinale De Paolis, “contraddice l’immagine e la figura del matrimonio e della famiglia, secondo l’immagine che la Chiesa ne offre”.

Come quadrare il cerchio? Per un’analisi globale dell ‘Instrumentum laboris rimando all’eccellente analisi di Matthew McCusker, sul sito di “Voice of the Family”. Mi limito da parte mia a qualche considerazione sull’approccio del documento al tema delle convivenze extra-matrimoniali.

Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2390 dice che l’espressione “libere unioni” (o convivenze) “abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. Tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l’idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l’atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale“.

L’Instrumentum laboris suggerisce invece l’idea che le convivenze extra-matrimoniali non siano intrinsecamente, ma solo “parzialmente” illecite.


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