miércoles, 1 de abril de 2015

A mantenere per tanti anni al potere il comunismo fu un patto non scritto tra i governanti e i governati.


Come l’homo sovieticus fu battuto dal coraggio di chi sapeva affermare la verità, «dicendo pane al pane»


di Tomáš Halík

A mantenere per tanti anni al potere il comunismo fu un patto non scritto tra i governanti e i governati. Rotto solo grazie a grandi uomini come Havel e Wojtyla e movimenti come Solidarność

Articolo tratto dall’Osservatore romano – Pubblichiamo la parte iniziale di un intervento sulla Chiesa di fronte alle sfide degli anni Ottanta nell’Europa centrale e orientale edito insieme ad altri contributi pronunciati in occasione del convegno «La Chiesa e la svolta degli anni Ottanta e Novanta in Europa centro-orientale», che si è svolto in Vaticano il 6 giugno 2014, organizzato dall’ambasciata della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede in collaborazione con la Pontificia Accademia delle Scienze nell’anno della canonizzazione di Giovanni Paolo II. L’autore è un filosofo, psicologo e sociologo ceco, ordinato sacerdote clandestinamente nel 1978, Premio Templeton 2014, amico di Václav Havel e stretto collaboratore del cardinale František Tomášek.

«Uno spettro si aggira per l’Europa – spettro del comunismo», scrivevano Marx ed Engels nel rivoluzionario anno 1848. Fortunatamente, lo spettro del comunismo smise di aggirarsi su e giù per l’Europa nell’Annus mirabilis 1989.

Il mezzo secolo della dominazione comunista nell’Europa centro-orientale può essere suddiviso in diverse fasi. La prima consisteva in una sovietizzazione forzata di quei Paesi nell’immediato dopoguerra. La seconda cominciò dopo le proteste popolari contro i regimi stalinisti: la rivolta del 1953 nella Ddr, la rivoluzione ungherese e la vittoria del “comunismo nazionale” di Gomułka in Polonia nel 1956, che implicò l’affermazione della burocrazia statalista nei regimi socialisti, e finì con la soppressione della Primavera di Praga nel 1968, quando gli eserciti dei cinque Paesi del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia.

La terza fase fu contrassegnata da una generale stagnazione in tutto il blocco sovietico sotto il regime di Breznev, e si finì nel 1980 con la fondazione del sindacato Solidarność in Polonia. La quarta vide il tentativo di Gorbachev di liberalizzare il regime sovietico introducendo la perestrojka nella seconda metà degli anni Ottanta, e si concluse alla fine del 1989, con gli sconvolgimenti politici nell’Europa centro-orientale e il collasso dell’Unione Sovietica.

La campagna più violenta contro le Chiese ebbe luogo fino all’anno 1956 quando il terrore rivoluzionario degli anni Cinquanta si esaurì e il comunismo, invecchiando, mise su un po’ di pancia, l’euforia di una parte della società e la paura e la rabbia dell’altra furono sostituite da un diffuso senso di noia. Dopo il 1968, nella maggior parte dei Paesi comunisti l’ideologia comunista si trasformò in una singolare religione di Stato: curiosamente, nessuno vi credeva, nemmeno i suoi sommi sacerdoti. Nemmeno la stragrande maggioranza dei funzionari comunisti credeva più nel marxismo, diventando semplicemente, il più delle volte, dei cinici apparatčiki. Nell’est vi furono molti meno marxisti convinti che nell’ovest; nei Paesi comunisti il marxismo era morto molto prima della caduta del comunismo.

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