jueves, 31 de enero de 2013

«Il teatro è molto simile all’architettura perché riguarda una vicenda; il suo inizio, il suo svolgimento e la sua conclusione. Senza vicenda non vi è teatro e non vi è architettura. È anche commuovente che ognuno viva una sua piccola parte». (Aldo Rossi)


ALDO ROSSI :
La realtà come spettacolo


di Lorenzo Margiotta

31/01/2013 - Forse l'unico vero maestro italiano della fine del Novecento. Una riflessione teorica e attività pratica. A muoverlo era lo stupore. E la certezza che «nella vita come in architettura, se cerchiamo una cosa non cerchiamo solo quella»

Aldo Rossi è uno dei protagonisti dell’architettura internazionale del secondo Dopoguerra e, forse, l’unico vero maestro italiano della fine del Novecento. Il personaggio, a sentire chi l’ha conosciuto, era oltre che straordinario, unico. 

Nato nel 1931 a Milano, matura, fin da studente, una sensibilità per l’architettura estremamente personale, come testimoniano i suoi racconti su quegli anni. «Al Politecnico di Milano penso di essere stato uno dei peggiori allievi anche se oggi penso che le critiche che mi venivano rivolte sono tra i migliori complimenti che abbia mai ricevuto. Il professor Sabbioni mi dissuadeva dal fare architettura dicendomi che i miei disegni sembravano quelli dei muratori o capomastri di campagna che tiravano un sasso per indicare all’incirca dove si doveva aprire una finestra. Questa osservazione, che faceva ridere i miei compagni, mi riempiva di gioia».

A condurlo all’architettura, come lui stesso racconta nella Autobiografia scientifica (1981), fu un verso liceale di Alceo: «"O conchiglia marina / figlia della pietra e del mare biancheggiante / tu meravigli la mente dei fanciulli". La citazione è circa questa e contiene i problemi della forma, della materia, della fantasia, cioè della meraviglia», il sentimento che coincide di più con il suo modo di concepire l’architettura. «Si passavano intere mattine con gli strumenti a misurare piazza Leonardo da Vinci... Le triangolazioni non si chiudevano, e io trovavo in quella incapacità di chiudere queste triangolazioni anche qualcosa di mitico, come una dimensione in più dello spazio».

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