martes, 2 de febrero de 2016

Solo l’amore per l’intelligenza mia e tua, solo l’ancoraggio alla realtà dei fatti ci consente di dialogare.


Dialogare si può. Ma a due condizioni

di Giorgio Carbone


l dialogo oggi sembra essere un’arte difficile e rara. Le stesse persone, autorevoli e altolocate, che da qualsiasi area invocano di non contrapporsi, di non creare muro contro muro, ma di dialogare e di testimoniare, sembra che abbiano dimenticato i presupposti del dialogare. Dialogare deriva dal greco dia-lego, dove la preposizione dia significa tra, e quindi indica la relazione, e il verbo lego significa parlo. Quindi il dialogare è un’attività tipica dell’uomo, come animale razionale e sociale. Suppone la relazione tra persone e l’intelligenza come facoltà che conosce la realtà delle cose, cioè tende al vero.

Perciò il dialogare è una vocazione dell’uomo in quanto tale. Ipresupposti del dialogo sono almeno due. Il primo è essere ancorati alla realtà, ai fatti, alle evidenze. Questo ancoraggio è indispensabile, altrimenti cado nella negazione della realtà o nella censura di qualche suo aspetto. Il secondo presupposto è parlare la stessa lingua, cioè usare le parole secondo la stessa accezione, perché se in una frase usassi una parola secondo un suo significato e in una seconda frase usassi la stessa parola secondo un significato diverso dal primo produrrei nel mio interlocutore un grande equivoco, giocherei con le parole, e il nostro dialogare sarebbe fuorviato e non approderebbe a nulla se non all’inganno.

I due presupposti, cioè essere ancorati alla realtà e usare le parole secondo significati costanti,possono essere ricondotti al principio primo del nostro conoscere, cioè al principio di identità e di non contraddizione. Questo fonda la nostra attività raziocinativa, e quindi anche la nostra vita associata. Quando il mio interlocutore spara dei numeri non fondati sulla realtà, esempio: in Italia i bambini adottati dalle coppie dello stesso sesso sono 100.000, quando invece secondo l’Istat 2012 le coppie conviventi dello stesso sesso sono 5.713 e i bambini presenti in queste coppie non arrivano ai 100. Se il mio interlocutore nega che il tasso di incidenza di suicidio nelle coppie conviventi dello stesso sesso aumenti del 300% rispetto alle coppie conviventi di sesso opposto, quando invece si tratta di una semplice evidenza statistica. Se il mio interlocutore nega di poter godere dei diritti civili, quando invece l’ordinamento giuridico vigente glieli riconosce già. Il dialogo manca del primo presupposto: non è ancorato alla realtà e alle evidenze.

Quando poi il mio interlocutore invoca l’uguaglianza e la non-discriminazione, ma con queste parolenon vuole dire «a situazioni uguali trattamento uguale; e a fattispecie diverse trattamenti diversi», ma vuole dire omologazione e standardizzazione, allora sta giocando con le parole, mi sta ingannando. Manca quindi il secondo presupposto del dialogo. Se poi il mio analizzare criticamente un disegno di legge è visto come una forma di contrapposizione, allora non ci siamo proprio. Nella cultura relativista pare che si possa interpretare tutto, ma non alcuni disegni di legge. Le persone umane vanno non rispettate, ma amate come noi stessi per il semplice fatto che sono persone, e non per le loro qualità, opinioni o idee. Ma la mia intelligenza se vuole compiere la sua missione di conoscere, di dialogare, allora è chiamata a valutare con criterio, cioè criticamente, le proposte, gli enunciati e gli scritti del mio amico.

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