viernes, 23 de octubre de 2015

Il mondo del futuro sarà sempre meno popolato di occidentali e sempre più popolato di africani, musulmani e asiatici


Memo per i padri sinodali: il XXI secolo non sarà occidentale



di Rodolfo Casadei

Leggere i commenti della stampa anglosassone sul Sinodo della famiglia e sui suoi dintorni non mette di buonumore. Un tormentoso concetto ritorna troppo spesso: quello di un’imminente rottura formale della Chiesa cattolica. In alcuni casi si utilizza la parola “divorzio” per alludere a ciò che potrebbe accadere, con evidente ironia riferita all’argomento più dibattuto dell’ultima assemblea sinodale, cioè l’ipotesi di ammissione all’Eucarestia per i divorziati risposati, in altri la minacciosa espressione “scisma”, che evoca precedenti storici epocali. E naturalmente tutto ruota attorno alle coppie di opposti conservatori-progressisti, tradizionalisti-liberal: categorie in base alle quali vengono distinti e dentro alle quali vengono collocati tutti gli appartenenti alla Chiesa cattolica, dai semplici battezzati su su fino ai cardinali. Le tensioni fra cattolici categorizzati come sopra condurrebbero a divisioni permanenti. Che la prognosi di un collasso imminente della Chiesa cattolica lungo le asserite linee di frattura conservatori-progressisti sia evocata ripetutamente dalla stampa anglosassone potrebbe avere una spiegazione psicologica: è nel mondo anglosassone prima di tutto che la Riforma protestante ha dato vita a una pletora di chiese, a uno sfarinamento ecclesiale apparentemente inarrestabile (poi replicato nei continenti dove le comunità protestanti hanno inviato i loro missionari: America Latina e Africa sub-sahariana). Vedere la Chiesa cattolica oscillare paurosamente sulla stessa china è motivo di compiacimento (e di un certo sollievo) per chi lotta tutti i giorni col fastidioso pensiero che la Chiesa di Roma aveva ragione quando disse che chi si separava da lei sarebbe caduto in ulteriori divisioni e non avrebbe più fatto l’esperienza dell’unità.

Comunque sia, sul sito dello Spectator (settimanale inglese di area conservatrice, ma non dimenticate che nel Regno Unito a introdurre il matrimonio fra persone dello stesso sesso è stato il governo conservatore di David Cameron nel 2013) è apparso un commento sull’intervento del Papa per il 50° anniversario dell’istituzione delle assemblee sinodali (opera di Paolo VI) che nelle parole di Francesco sulla riforma del papato che ha in mente e soprattutto sulla “decentralizzazione” della Chiesa vede l’avvio di un processo che porterà alla disgregazione della Chiesa cattolica. Il titolo del commento, infatti, è “Pope Francis is now effectively at war with the Vatican. If he wins, the Catholic Church could fall apart”. In inglese “to fall apart” significa disgregarsi, crollare, andare a pezzi. E secondo Damian Thompson, autore dell’articolo, il rischio della disgregazione deriverebbe da un errore tattico di Francesco: voleva il via libera alla Comunione per i divorziati risposati a determinate condizioni, ma l’assemblea sinodale non lo darà, perché la maggioranza assoluta dei padri sinodali è contraria a questa ipotesi. Siccome però lui è favorevole al principio della cosa, permetterà alle singole Conferenze episcopali nazionali che sono orientate in tal senso di andare avanti, usufruendo della “decentralizzazione”. Ciò però aprirà uno iato sempre più ampio fra le conferenze episcopali a maggioranza liberal e quelle a maggioranza conservatrice, perché le innovazioni, “pastorali” e forse non solo pastorali, non si fermeranno all’Eucarestia per i divorziati ma andranno molto più in là e lo scisma, che sia formalmente dichiarato oppure no, diventerà realtà.

Non intendo qui entrare nello specifico dell’argomentazione per confutarla o approvarla. Tanto meno ci tengo a offrire mie considerazioni sul dibattito sinodale e sui suoi esiti. Ci sono già troppi poligrafi che sulle testate online esprimono giudizi e convinzioni intorno a questioni che richiederebbero una solida formazione a livello di teologia, morale e diritto. Formazione di cui pochi dispongono. C’è invece un passaggio dell’articolo di Thompson che ha attirato la mia attenzione e che mi provoca a dire la mia. Scrive a proposito di ciò che, secondo lui, i “porporati liberal” penserebbero: «Some liberals agree that disunity is inevitable but reckon the Holy Spirit has already factored that in: eventually, Africans will come to share their own compassionate impulses towards Catholics who have been forced by the turmoil of modern life to bypass church teaching on sexual behaviour». Se capisco bene, i liberal sarebbero convinti che nel breve periodo le loro iniziative creeranno divisioni nella Chiesa, ma che poi gli africani e gli altri dissenzienti verranno sulle loro posizioni, perché la vita moderna col suo disordine investirà tutti i continenti, e le trasformazioni socio-culturali costringeranno anche le Chiese cattoliche di quei continenti ad “aprirsi”.

Beh, se ci sono dei porporati “liberal” che pensano davvero questo, è meglio avvertirli che si sbagliano. Continuare a pensare che il modo di vita euro-americano e l’individualismo che lo sottende si espanderanno col tempo a tutto il globo terracqueo è un’ingenuità tardo-illuminista che ha ben poca base nella realtà. L’Economist si rallegrava recentemente dei progressi dell’agenda Lgbt (il turbocapitalista Economist è stato un antesignano della battaglia per il matrimonio gay) in America Latina. Abbiamo imparato l’altro ieri che in un paese come il Brasile questi progressi arrivano fino al matrimonio fra tre persone dello stesso sesso. Ma Brasile e America Latina fanno parte culturalmente dell’Occidente tanto quanto l’Europa e l’America del Nord.

Ora, in tutto l’Occidente i tassi di fertilità sono scesi sotto la soglia del rimpiazzo generazionale (2,1 figli per donna): Stati Uniti, Brasile, Argentina e Unione Europea registrano medie che stanno fra gli 1,8 e gli 1,6 figli per donna, dunque il numero dei loro abitanti è potenzialmente in declino, fatta salva l’immigrazione. Nell’Africa nera il tasso di fertilità è di 5,1 figli per donna, e nel Medio Oriente e Nordafrica è 2,7 figli per donna. Quando africani e musulmani si trasferiscono in Occidente i loro tassi di natalità si abbassano, ma restano superiori a quelli della popolazione “indigena” (vedi per esempio le statistiche sulla fertilità delle donne marocchine di nascita emigrate in Olanda).

Il mondo del futuro sarà sempre meno popolato di occidentali e sempre più popolato di africani, musulmani e asiatici.



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