sábado, 29 de agosto de 2015

Parla il domenicano che ha dovuto sospendere i suoi incontri sul gender al Meeting di Rimini


«Chi è l’oscurantista?». Intervista a padre Giorgio Maria Carbone


di Emanuele Boffi


Parla il domenicano che, dopo un video di Repubblica, ha dovuto sospendere i suoi incontri sul gender al Meeting di Rimini. E che qui ci spiega cosa ha detto e cosa ha ancora da dire

Padre Giorgio Maria Carbone s’è preso qualche giorno per riposare nella sua terra natia. Nel giardino di limoni e pini dell’abitazione dei suoi genitori che dà sul Golfo di Napoli, cerca di recuperare, ci spiega «uno sguardo contemplativo sulla realtà senza le lenti dell’ideologia». Suo malgrado, è stato uno dei protagonisti dell’ultima edizione del Meeting di Rimini, poiché un video apparso sul sito di Repubblica l’ha etichettato come omofobo e propagatore di «singolari teorie» sugli omosessuali. A seguito delle polemiche, gli incontri che si tenevano allo stand dei domenicani – che non fanno parte di quelli ufficiali del programma del Meeting – sono stati sospesi.

Carbone, domenicano, teologo, esperto di questioni bioetiche, direttore dell’Edizione Studio Domenicano e professore presso la Facoltà di Teologia di Bologna, accetta di parlare con tempi.it della vicenda che lo ha coinvolto. Ora, ci spiega, è più tranquillo, anche in seguito a diversi attestati di solidarietà ricevuti (su tutti quello dell’arcivescovo Luigi Negri, che gli ha inviato una lettera che potete leggere qui). «Quello che mi ha fatto più piacere, tra i tanti espressi dal popolo del Meeting, è arrivato da una coppia di omosessuali, che non conoscevo e che si è presentata al nostro stand. I due ragazzi sono venuti per ringraziarmi di averli a cuore. “Noi siamo stufi – mi hanno detto – di essere trattati come serbatoi di voti per associazioni e partiti”».

Padre Carbone, ci racconti cosa è successo sabato scorso allo stand gestito da lei e dai domenicani.

È accaduto che io e il dottor Renzo Puccetti stavamo tenendo un incontro sul tema del gender. A convegno già iniziato – io stavo parlando – sono arrivati due giornalisti provvisti di telecamera e hanno cominciato a fare delle riprese. Un mio confratello, che gestiva con me il nostro stand, si è avvicinato e ha chiesto loro chi fossero. I due si sono presentati come un service del Meeting di Rimini, regolarmente accreditati presso la sala stampa.

Invece, poi, il video è apparso sul sito di Repubblica.

Sì.

C’erano altre telecamere?

Sì, le nostre. Noi riprendiamo tutti i nostri eventi. Vede, noi gestiamo una piccola casa editrice, che usa dell’occasione del Meeting per far conoscere i propri libri. Filmiamo tutte le nostre presentazioni e, nel giro di pochi giorni, le carichiamo sul nostro canale Youtube. Non abbiamo nulla da nascondere.

Da quanti anni siete presenti al Meeting?

Questo è stato il nostro nono anno.

E da quanti anni presentate i vostri libri allo stand?

I primi anni non lo facevamo. Poi, cinque anni fa, abbiamo copiato l’idea dei carmelitani che, nel loro spazio espositivo, organizzavano queste presentazioni. Devo dire che, con una certa nostra sorpresa, la cosa funzionò bene da subito. Le prime volte interveniva padre Giuseppe Barzagli, discepolo del cardinale Biffi, personaggio noto alla platea del Meeting. Radunavamo un centinaio di persone e così negli ultimi anni abbiamo proseguito con questa modalità. Quest’anno abbiamo avuto incontri anche con duecento, duecentocinquanta persone. Il numero non può essere più elevato perché c’è un limite acustico invalicabile – siamo pur sempre nello spazio aperto di una fiera – e poi noi siamo sempre stati molto attenti a non disturbare i nostri “vicini” di stand.

Il tema delle presentazioni era concordato coi responsabili del Meeting?

Noi col Meeting di Rimini abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto all’insegna della simpatia e dell’accoglienza fraterna. Un rapporto di fiducia e cordialità. Ogni anno io presentavo un programma generale, che poi coincideva coi titoli dei libri che avevamo editato quell’anno e le successive uscite. Non è che dicevo loro i “titoli” degli incontri, ma li mettevo al corrente della nostra produzione. Anche perché, fino all’anno scorso, durante il Meeting avvenivano molte presentazioni di libri e i responsabili, come è accaduto a noi l’anno scorso per un nostro volume su san Giovanni Damasceno, talvolta le facevano proprie, inserendole nel programma ufficiale. Ma, ripeto, tutto questo all’insegna della massima collaborazione e della massima libertà.

Però, dopo il video di Repubblica, il Meeting le ha chiesto di sospendere i convegni.

Il Meeting ci ha chiesto di non fare l’incontro programmato per domenica alle 18 al nostro stand per due motivi: primo perché, ci hanno spiegato, volevano evitare la sovraesposizione mediatica del Meeting stesso e, secondo, per non alimentare inutili polemiche create ad arte. Gli altri, invece, si sono svolti senza nessun problema.

La conferenza di sabato come si è svolta? Lei di cosa ha parlato?

È stata una conferenza normale, tranquillissima. Io ho parlato dei “nuovi diritti” spiegando che l’espressione “diritti civili” è espressione assente nella nostra Carta costituzionale. È un’espressione nata negli Stati Uniti negli anni Cinquanta per indicare le legittime lotte di protesta contro la discriminazione delle persone di colore. Diritti, dunque, giustamente rivendicati perché affondano le loro radici nel diritto umano fondamentale a non essere discriminato per il colore della propria pelle. Ma quest’espressione oggi è utilizzata per chiedere altre cose: il matrimonio, l’adozione, la fecondazione artificiale. Viene fatto un uso strumentale della locuzione “diritti civili”, che comporta una indebita conseguenza: chi vi si oppone è bollato come “razzista”. La seconda osservazione che ho fatto riguarda l’enfatizzazione dell’emergenza omofobia in Italia. Un paese che, è bene ricordarlo, ha due presidenti di Regione dichiaratamente omosessuali. Ma soprattutto ho fatto notare a chi mi ascoltava che già oggi molte delle istanze portate avanti da chi chiede con insistenza l’allargamento di questi diritti sono già garantite dal nostro ordinamento. Accade, ad esempio, per la cura del compagno, riconosciuta dalla legge 91 del 1999. O il caso della successione sul contratto di locazione, di cui si occupa la legge 392 del 1978 modificata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 404/88. Rimane esclusa la questione della legittima, cui però si può ovviare con un testamento olografo. E poi quella della pensione su cui, però, si è espressa sempre la Corte Costituzionale con sentenza 461 del 2000 in cui esclude che la pensione di reversibilità sia un diritto umano, ed esige la certezza del rapporto, che è garantita solo dal matrimonio.

Ma lei ha fatto tutti questi esempi per trarre quali conclusioni?

Per spiegare che tutte queste rivendicazioni fanno leva su orientamenti e preferenze trasformati in diritti soggettivi. Ma nel diritto noi ci possiamo basare solo su dati oggettivi o oggettivabili, non su preferenze o pulsioni. Con il genere, come facciamo? Quale diritto si può basare sul “genere” e soprattutto sul fatto che esso è presentato come qualcosa di fluido, di mutevole? Tutte le Costituzioni del Dopoguerra si fondano su beni oggettivi. Slegarle da questi, crea problemi, come ad esempio il ddl Cirinnà che fonda la convivenza civile sull’orientamento sessuale. Il problema attuale è che si parla poco di diritti umani fondamentali, mentre si enfatizzano i diritti civili.

L’espressione al centro delle polemiche è la sua frase su uno studio condotto sulla popolazione danese da cui si evincerebbe che le coppie omosessuali sono più esposte, rispetto a quella eterosessuali, a rischi cardiovascolari, respiratori, suicidi, tentati suicidi e Aids.

Io ho fatto riferimento a uno studio pubblicato su una rivista, organo ufficiale dell’International Epidemiological Association, pubblicata dall’Oxford University Press. Si tratta di uno studio di correlazione, non di causalità, che ha preso in esame dei dati raccolti sulla popolazione deceduta danese nel corso di trent’anni, dal 1982 al 2011. Ora, io quello che volevo dire è questo: rispetto ai dati che emergono da questa “fotografia” noi ne vogliamo discutere oppure preferiamo ignorarli? Chi è l’oscurantista? Chi è, come mi hanno definito, il “medioevale”? Questa ricerca, diversamente da quanto scritto da Repubblica, non è una «teoria di padre Carbone». Dunque si decida: vogliamo nascondere questi dati o ne vogliamo parlare? Io non cerco polemiche e sono disposto a dialogare con chiunque, ma per dialogare occorre parlare la stessa lingua. Se tu chiami “teorie singolari” delle ricerche scientifiche, come facciamo a intenderci? E, poi, per dialogare è necessario un altro presupposto: il prendere atto della realtà.

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