lunes, 22 de junio de 2015

Roma: non cristiani e cristiani di obbedienza diversa da quella cattolica si sono ritrovati uniti attorno alla necessità di difendere i figli dall’educazione gender


Perché ero a Roma il 20 giugno

di Rodolfo Casadei


A manifestazione di Roma conclusa e archiviata, continuo il discorso sulle ragioni che mi hanno portato a decidere di partecipare e sulle risposte da dare a certe obiezioni del giro cattolico.

Una di quelle che mi sono state fatte più spesso suona così: «Oggi le evidenze morali nel cuore dell’uomo si sono oscurate. Le persone non riescono più a distinguere il bene dal male a causa della pressione della cultura dominante. È inutile insistere con loro sulle verità della morale naturale, l’unica cosa da fare è proporre loro l’incontro con Cristo. Se incontrano Cristo attraverso di noi, allora riprenderanno luce anche le evidenze morali»

Questa obiezione è stata smentita proprio dalla piazza di Roma: lì, accanto a una maggioranza costituita da cattolici, c’erano significative presenze del mondo musulmano (addirittura l’imam di Centocelle), sikh, agnostico e ateo, oltre che protestanti e ortodossi. C’erano anche persone di orientamento omosessuale. Non cristiani e cristiani di obbedienza diversa da quella cattolica si sono ritrovati uniti attorno alla necessità di difendere i figli dall’educazione gender. Hanno riconosciuto il bene, gli hanno reso testimonianza e hanno cercato di fare qualcosa perché il bene prevalesse sul male. La differenza di posizione religiosa non ha rappresentato un ostacolo.

Non c’è affatto da stupirsi, o per lo meno non dovrebbe stupirsi chi conosce la dottrina cattolica. Recita la costituzione conciliare Gaudium et Spes al n. 16: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. (…) Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale». Tutti gli uomini hanno una coscienza, nella coscienza risuona la voce di Dio che mostra la differenza fra il bene e il male, e anche chi non ammette Dio non può tacitare la voce della coscienza, se non mentendo a se stesso. Per questa ragione è giusto e legittimo appellarsi alla coscienza morale di ogni nostro interlocutore, a prescindere dalla sua posizione religiosa, e una sua eventuale dichiarazione di ateismo, agnosticismo o non conoscenza o non riconoscimento di Cristo non rappresenta in alcun modo una giustificazione rispetto al fatto che lui è pienamente responsabile del male che fa e del bene che non fa. E per questa stessa ragione cristiani e uomini di buona volontà che cristiani non sono possono intendersi su tante cose e collaborare a combattere il male e costruire il bene.

Premesso questo, occorre prendere atto di un’evidenza che è sotto i nostri occhi: spesso i non cristiani fanno il bene più dei cristiani, spesso i non cristiani si comportano da cristiani più dei cristiani stessi. Fanno il bene senza aver incontrato Cristo? Io dico di no. La voce della coscienza è anche voce di Cristo. Come ha scritto il beato John Henry Newman, «La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo». E oltre a ciò, occorre tenere presente che lo Spirito di Cristo può toccare l’umanità in modi misteriosi, può incontrare gli uomini e le donne di oggi e farne dei cristiani pur restando essi fuori dalla Chiesa visibile. Mi commosse un’intervista del mio collega Domenico Quirico qualche anno fa al mensile Tracce. Raccontava del suo rapimento in Libia, e di come l’intervento di alcuni giovani combattenti l’aveva salvato dall’esecuzione capitale. L’inviato raccontò che erano stati due giovani lealisti gheddafiani a salvare, senza nessun motivo o tornaconto personale, la vita sua e degli altri colleghi presi prigionieri. «Dio esiste o no? La presenza della grazia e del peccato per me è la risposta a questa domanda. Così nell’atto totalmente gratuito di quei due ragazzi, che hanno salvato me ed altre tre persone senza guadagnarci nulla, io ho visto la manifestazione della grazia. La prova dell’esistenza di Dio. Lì, così, in un giorno qualsiasi di un Paese africano, in una guerra tremenda, in un massacro senza luce, semplicemente, si è manifestata la grazia».

In situazioni meno drammatiche di un rapimento, io ho fatto la stessa esperienza: in questi ultimi anni ho incontrato cristiani non praticanti e musulmani che mi hanno testimoniato che la Grazia non conosce confini confessionali, gente capace di gratuità, di conversione, di amore per la giustizia molto più di me. Sono certo che chiunque legge queste righe ha fatto qualche volta la mia stessa esperienza. Questo cosa ci dice? Che Cristo opera in modi misteriosi; che, come dice papa Francesco, ci precede: noi arriviamo e lui è già là. Perciò credo che noi cattolici praticanti dovremmo essere abbastanza umili da riconoscere che non sempre siamo noi quelli che rendono Cristo incontrabile e conoscibile ai non cristiani o ai cristiani non praticanti. In non pochi casi, non c’è nessun bisogno che l’altro aderisca alla Chiesa o al nostro gruppo: sta già vivendo la vita di Grazia, e noi dobbiamo semplicemente metterci insieme a lui a fare il bene. È quello che è successo, per esempio il 20 giugno a Roma, e succede ogni giorno in migliaia di contesti diversi, dai semplici atti di carità verso i poveri e i deboli fino alle grandi battaglie politiche come quella contro l’educazione al gender.

Un’altra obiezione che mi hanno fatto tanti, senz’altro quella più gettonata, è quella di chi mi ha detto: «Le manifestazioni pubbliche non servono a niente, in questa fase storica “loro” alla fine ottengono sempre quello che vogliono. Tu credi di fare qualcosa di utile, invece sprechi tempo ed energie». Mi sembra un giudizio approssimativo e incompleto. In un passato vicino le manifestazioni pubbliche hanno ottenuto risultati: il Family Day del 2007 per 8 anni ha bloccato in Italia la deriva del gender e della dissoluzione della famiglia. La campagna per l’astensionismo al referendum sulla fecondazione assistita del 2005 risultò vittoriosa. Le ripetute adunate della Manif pour tous francese fra il 2012 e il 2013 non hanno impedito l’approvazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso, ma hanno fatto sì che i socialisti ritirassero il progetto di legge che doveva garantire l’accesso delle coppie omosex alla fecondazione assistita e agli uteri in affitto. Certo, le battaglie sono proseguite, e giudici felloni della Corte costituzionale italiana si sono inventati che il divieto di fecondazione eterologa è anticostituzionale e hanno smontato la legge 40, e anche in Francia alcuni giudici stanno facendo il loro sporco lavoro per introdurre surrettiziamente quello che la legge non prevede. Ma avere impedito che, almeno per un certo tempo, certe ingiustizie avessero luogo, non è uguale a zero. Se per otto anni abbiamo impedito che le persone fossero trattate come cose, che gli embrioni venissero manipolati e scartati come spazzatura e che con disinvoltura si producessero orfani biologici destinati a un sovrappiù di sofferenza psichica, abbiamo fatto solo bene. Non farlo sarebbe stata un’omissione. Dice il Talmud: «Chi salva una vita salva il mondo intero».

E poi c’è da dire un’altra cosa: anche se non si può impedire che venga approvata una cattiva legge, si può agire per limitare i danni. La politica è rapporto di forze, e i risultati di un negoziato o di una trattativa a livello politico per determinare i contenuti di una legge dipendono dal peso delle forze in campo. Le pressioni esercitate attraverso la piazza, le manifestazioni, le campagne pubbliche, da sempre sono armi in mano ai negoziatori. Lo vediamo anche nel mondo dei rapporti sindacali: per ottenere qualcosa bisogna scioperare, o minacciare di farlo. Se si “dialoga” senza mai esercitare pressioni, la controparte non concede nulla. Lo stesso vale per la trattativa politica su tutti i temi della bioetica e della famiglia: senza l’arma politica rappresentata dalle pressioni popolari, con cosa vanno a negoziare al tavolo del negoziato i nostri negoziatori? Quelli dall’altra parte diranno: no, ci prendiamo tutto perché voi non rappresentate nessuno.

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