sábado, 28 de febrero de 2015

Il cardinale Scola in memoria di don Giussani:


Cristo, «vita delle nostre vite». 
Siano esse destinate al martirio o alla pace

Luigi Amicone

 «In Lui si assomma tutto quello che io cerco, quello che io sacrifico, quello che in me si evolve per amore delle persone con cui mi ha messo»

Don Angelo Scola, arcivescovo e cardinale di Milano, l’altra sera ha celebrato una Messa per il decennale del “dies natalis” di don Giussani e per i sessant’anni di Comunione e Liberazione. Naturalmente è stato impressionante stare sotto le grandi arcate gotiche e condividere con migliaia di amici l’immenso spazio del Duomo reso incalpestabile dalla moltitudine presente. All’uscita, erano già le undici della sera, la gente per strada ti chiedeva perché e di che razza fosse tutta quella gente “stranamente” andata in chiesa.


Ancora Scola, con tono calmo ma – almeno così ci è sembrato – con accento più drammatico, ha reclamato “più fede”. 
  • «Più fede, più fede per vivere gli affetti, il lavoro, il riposo, il dolore nostro e dei nostri cari, la morte; 
  • più fede per affrontare il male che compiamo e chiederne perdono; 
  • più fede per educare i nostri figli e perché i nostri figli scoprano la convenienza di lasciarsi educare; 
  • più fede per contribuire all’edificazione di una vita buona nella società plurale in un tempo in cui uomini e donne – e tra di loro tanti cristiani – vengono trucidati, cacciati dalle loro terre e dalle loro case, costretti ad una tragica emigrazione; 
  • più fede (ed ecco il colpo finale, ndr) per accettare, Dio non voglia, la possibilità di un nuovo martirio di sangue dei cristiani in Europa».

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