miércoles, 20 de agosto de 2014

Con il Califfato la verità ci è venuta a trovare.


Forse l’Occidente si è svegliato. E si è accorto che il Califfato non si combatte con le prediche e i buoni propositi

Luigi Amicone

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Con il Califfato la verità ci è venuta a trovare. Riassunto del problema che abbiamo con il doppio nichilismo occidentale e che per anni ha dilagato dal Maghreb, alla Siria all’Iraq. Oggi, dopo gli appelli della Chiesa in Medio Oriente, è iniziato il contrattacco

Sul tamburo delle dichiarazioni fatte dai parlamentari pentastellati che sono informati di tutto tranne di come va il mondo, Rodolfo Casadei, nostro inviato a Erbil, ha lanciato un tweet: «Prima che io riparta per l’Italia, voglio presentarli al Califfo di Mosul e lasciarli lì con lui». Può essere un’idea. Ma se l’arroganza dell’ideologia avanza, bisogna capire bene che l’ideologia è sempre indifferenza ai fatti. E che la madre dell’ideologia (che sempre, prima o poi, genera violenza) è il disinteresse alla verità, forma suprema dell’immoralità.

Prendiamola alla larga. Nel gennaio 2008, quando papa Ratzinger venne invitato all’Università della Sapienza di Roma, egli, nella sua allocuzione, tra le altre cose, aveva previsto di rimarcare che la legittimità di una carta costituzionale e, quindi, di una democrazia, «deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa “forma ragionevole” Habermas annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un “processo di argomentazione sensibile alla verità” (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren)».

Alla fine Benedetto XVI dovette rinunciare. Prima a entrare e a tenere la sua allocuzione alla Sapienza. Poi, direttamente al papato. D’altra parte, già due anni prima di essere bandito dall’università di Roma, a Ratisbona, il papa tedesco aveva ammonito lo spirito del tempo ad emendarsi dal doppio nichilismo che lo stava trascinando verso la rovina. Inascoltato e, anzi, apostrofato dalle cancellerie internazionali, dovette quasi chiudersi in San Pietro per sfuggire al linciaggio del sistema mediatico, intellettuale e diplomatico globale.

Liberal di qua e islamisti di là, New York Times (che chiese al papa di scusarsi pubblicamente) e Fratelli Musulmani (che chiesero al papa di scusarsi pubblicamente) offrirono la conferma che la lectio ratisbonense aveva colto nel segno. La Chiesa cattolica ha pagato a caro prezzo il «processo di argomentazione sensibile alla verità» testimoniato da Benedetto XVI. Venne gonfiato a dismisura lo scandalo dei preti pedofili. E per anni, fino alla rinuncia ratzingeriana al soglio petrino e all’avvento di Francesco, la Roma cattolica è stata aggredita e perseguitata da media, spioni, traditori, corti, tribuni, opinioni pubbliche cosiddette, di ogni colore, credo e latitudine.

Adesso la verità ci è venuta a trovare in forma di Califfato. E le democrazie tremano (anche perché con il secondo mandato di Obama sembrava che l’America avesse l’isolazionismo e l’Europa, che già non sta molto bene ed è impegnata quasi soltanto ad alzare il pavimento dei diritti e ad abbassare il soffitto dei doveri, oltre alla recessione e alle divisioni interne, si è pure regalata un grosso problema in Ucraina). Eppure. Ancora il 14 febbraio di quest’anno il Patriarca dei cattolici iracheni Louis Raphael Sako raccontava al nostro Leone Grotti verità scandalose.

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