sábado, 19 de julio de 2014

«Il burqa è un’arma jihadista e non c’entra con l’islam».


Parola di imam inglese, 
che raccoglie firme per proibirlo

da Benedetta Frigerio

Secondo Taj Hargey, «il burqa non è un simbolo di multiculturalismo e tolleranza». I politici non agiscono perché «temono di essere accusati di “islamofobia”» ma così «ledono i diritti delle donne»


«La moda crescente fra le giovani musulmane inglesi di portare il burqa (contrariamente alle loro madri, che non lo portano) è uno degli sviluppi più sinistri dei nostri tempi». Ne è convinto Taj Hargey, imam della Congregazione islamica e del Centro di educazione di Oxford, che ha lanciato una petizione per raccogliere 100 mila firme necessarie a far discutere in Parlamento di un eventuale divieto di girare con il volto coperto. Un’iniziativa nuova, perché «è la prima volta che viene condotta dai musulmani», ha chiarito Hargey sulDaily Mail.

LA RELIGIONE NON C’ENTRA. 

Oltre a farne una questione di sicurezza le argomentazioni dell’imam svelano l’inganno di chi «finge che questo sia un simbolo del multiculturalismo, della diversità e della filosofia della tolleranza della nostra società». Questa convinzione «è completamente sbagliata», infatti «il burqa è un arcaico e tribale pezzo di stoffa usato ansiosamente dai fanatici fondamentalisti».

Rifacendosi al ricorso, poi perso, della pakistana francese alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che chiedeva di poter portare il velo integrale per motivi religiosi, Hargey ha spiegato che «non c’è nessun obbligo religioso che imponga ai musulmani di portare il burqa», e che non è nemmeno «una peculiarità della cultura pakistana, dove il 90 per cento delle donne non lo indossa». 

Da dove arriva quindi questa usanza? «È un costume che ha origine nell’antica Persia e a Bisanzio più di mille anni prima della nascita dell’islam. Fu voluto dai maschi aristocratici per una ragione sociale di snobismo e non religiosa, dal momento che non volevano che le loro donne, mogli, figlie, sorelle o madri fossero viste dai contadini». Nonostante questo, parte del clero islamico oggi sostiene che il burqa sia necessario, sulla base della credenza che le mogli del profeta Maometto si coprissero il volto in pubblico. L’imam però ha sottolineato che ciò non è riportato dal Corano, ma solo in alcuni hadith, testi «riuniti 250 anni dopo la morte del profeta».

«BURQA ARMA JIHADISTA». Ma, «teologia a parte», il burqa «minaccia la coesione sociale inibendo l’effettiva interazione tra i musulmani e i non musulmani nell’arena pubblica». Di più, perché sarebbe anche «un vero affronto alla parità di genere», tanto sbandierata dalla Gran Bretagna. Ricordando che qualunque uomo che si copra la faccia verrebbe subito arrestato, Hargey ha sottolineato che «in questo caso le femministe dovrebbero chiedere che gli uomini e le donne vengano trattati allo stesso modo. O tutti hanno il diritto di coprirsi la faccia oppure nessuno ce l’ha». Anche perché il burqa mette a repentaglio «la salute delle donne, che non sono mai esposte alla luce del sole», come rivela «uno studio recente sulle donne degli emirati Arabi».
Inoltre, chi vuole nascondano il loro volto «parla di libertà di scelta, ma non è a loro che viene data la libertà bensì agli uomini che impongono la loro volontà». E questo non è progresso, ma imprigionamento. Il burqa è solo «un’altra arma nell’arsenale misogino dei jihadisti, così come i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili e le discriminazioni sessiste». Perciò Hargey ribadisce che «tollerandolo stiamo permettendo a una nuova forma di apartheid femminile di crescere fra di noi».


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