sábado, 22 de junio de 2013

Fare presto, fare tutto, fare bene, il Signore viene... - Papa Francesco: leggo e rileggo i discorsi di Paolo VI perché mi fanno bene.

La Chiesa è ancella dell'uomo 
perché Gesù si è fatto carne 

"Cari amici, ritrovarci nel nome del Venerabile Servo di Dio Paolo VI ci fa bene!". Papa Francesco ha salutato con queste parole i 5mila fedeli della Diocesi di Brescia in pellegrinaggio a Roma per ricordare il 50esimo anniversario dell'elezione di Papa Montini. "Personalmente - ha confidato loro - torno sempre a rileggere i discorsi di Paolo VI, specialmente quello a Manila e quello Nazareth, che sono stati decisivi per la mia vita spirituale. Ci torno sempre perche' mi fanno bene". 

E, ha aggiunto il nuovo Pontefice, la "Evangelii Nuntiandi per me e' il documento pastorale piu' importante che sia stato scritto fino a oggi".
Papa Francesco ha "personalizzato", con questi riconoscimenti sinceri della grandezza spirituale di Giovanni Battista Montini, il discorso per la ricorrenza, manifestando cosi' tutta la sua ammirazione per quella che ha definito "una testimonianza che alimenta in noi la fiamma dell'amore per Cristo, dell'amore per la Chiesa, dello slancio di annunciare il Vangelo all'uomo di oggi, con misericordia, con pazienza, con coraggio, con gioia". 

Tornando con la mente agli anni in cui era un giovane gesuita impegnato nella periferia di Buenos Aires, Francesco ha dunque lasciato da parte il testo preparato per dire con tono familiare ai presenti: "Vi confido una cosa: i suoi discorsi mi hanno fatto tanto bene". E come esempio ha citato le parole dette da Paolo VI a Manila subito dopo l'attentato (il 27 dicembre 1970 il Papa fu ferito con una coltellata, ma l'episodio fu rivelato solo successivamente dal segretario, monsignor Pasquale Macchi: "Cristo! Si', io sento la necessita' di annunciarlo, non posso tacerlo! E' l'uomo del dolore e della speranza; e' Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicita'".

"Cari amici - ha domandato ad alta voce Bergoglio rivolto ai 5mila fedeli di Brescia - e noi: abbiamo lo stesso amore a Cristo? E' il centro della nostra vita? Lo testimoniamo nelle azioni di ogni giorno?" Francesco ha ricordato anche "l'amore di Papa Montini alla Chiesa: un amore appassionato, l'amore di tutta una vita, gioioso e sofferto, espresso fin dalla sua prima Enciclica, Ecclesiam suam". "Paolo VI - ha ricordato - ha vissuto in pieno il travaglio della Chiesa dopo il Vaticano II, le luci, le speranze, le tensioni. Ha amato la Chiesa e si e' speso per lei senza riserve. In proposito, Bergoglio ha citato il commovente "Pensiero alla morte" di Montini, cioe' il testamento spirituale nel quale il Papa bresciano scriveva della Chiesa: "Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e Sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra"

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Paolo VI
Pensiero alla morte

"Tempus resolutonis meae instat"
E' giunto il tempo di sciogliere le vele (2 Tim. 4,6)

"Certus quod velox est depositio tabernaculi mei"
Sono certo che presto dovrò lasciare questa mia tenda (2 Petr. 1, 14)

"Finis venit, venit finis"
La fine! Giunge la fine (Ez. 2,7)

Questa ovvia considerazione sulla precarietà della vita temporale e sull'avvicinarsi inevitabile e sempre più prossimo della sua fine si impone. Non è saggia la cecità davanti a tale immancabile sorte, davanti alla disastrosa rovina che porta con sé, davanti alla misteriosa metamorfosi che sta per compiersi nell'essere mio, davanti a ciò che si prepara.


Vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale:

io, chi sono? che cosa resta di me? dove vado? e perciò estremamente morale:
che cosa devo fare? quali sono le mie responsabilità? 

E vedo anche che rispetto alla vita presente è vano avere speranze; rispetto ad essa si hanno dei doveri e delle aspettative funzionali e momentanee; le speranze sono per l'al di là.

E vedo che questa suprema considerazione non può svolgersi in un monologo soggettivo, nel solito dramma umano che al crescere della luce fa crescere l'oscurità del destino umano; deve svolgersi a dialogo con la Realtà divina, donde vengo e dove certamente vado; secondo la lucerna che Cristo ci pone in mano per il grande passaggio.

Credo, o Signore.

L'ora viene. Da qualche tempo ne ho il presentimento. Più ancora che la stanchezza fisica, pronta a cedere ad ogni momento, il dramma delle mie responsabilità sembra suggerire come soluzione provvidenziale il mio esodo da questo mondo, affinché la Provvidenza possa manifestarsi a trarre la Chiesa a migliori fortune. La Provvidenza ha, sì, tanti modi d'intervenire nel gioco formidabile delle circostanze, che stringono la mia pochezza; ma quello della mia chiamata all'altra vita pare ovvio, perché altri subentri più valido e non vincolato dalle presenti difficoltà. "Servus inutilis sum". Sono un servo inutile.

"Ambulate dum lucem habetis"
Camminate finchè avete la luce (Jo. 12, 35)

Ecco: mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce.
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